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La classe è un inferno
Film La scuola vista dal regista di «Risorse umane»
C ‘ era una volta il linguaggio. Permetteva di condividere le emozioni e i contenuti e la sua era una funzione socialmente riconosciuta: dicevi bianco ed era chiaro a tutti… Oggi non è più così: le parole, abbandonato il fardello del significato, da troppi ritenuto triste e inutile, viaggiano nell’immaginario agevolando scontri, incomprensioni, nervosismi, crisi. Una frattura che in quell’universo a sé che è un’aula scolastica finisce con il rimbalzare da una parete all’altra, alimentando un vortice parossistico uscire dal quale è impresa ardua, se non impossibile. Non è un caso che Laurent Cantet, il regista di questo La classe (premiato con molte ragioni a Cannes) segua l’impostazione che François Bégaudeau ha dato al romanzo: non si esce mai dall’istituto, piccolo inferno terrestre nel quale filtrano tutti i mali del mondo… Entre les murs , recita appunto il titolo originale. E fra le mura le parole, un tempo utili perché generazioni differenti potessero guardarsi negli occhi, scivolano di continuo da un registro all’altro, da un livello di pensiero all’altro. Tourbillon caotico, a tratti comico, in certi passaggi tragico, nel quale precipitano – come in una provetta – le questioni del nostro tempo. Il rapporto con l’autorità. La multiculturalità sempre più necessaria e mai così difficile (da questo punto di vista, si preparino gli spettatori italiani che sono anche prof: de te fabula narratur …). La crescita degli adolescenti che si fa sempre più “autarchica” e che non coglie (o non ha) occasioni di relazionarsi. Il mondo degli adulti che, dal canto suo, ci prova; senza più la forza per sostenere i suoi sempre più rari slanci; troppo incline, in fondo, a rifugiarsi in uno slavato principio di autorità.
Passa così l’intero anno scolastico. Con alcune belle sorprese (rare come una tredicenne che legga La repubblica di Platone; e lo apprezzi). E con un gran numero di delusioni in qualche modo annunciate. Personali (per il docente protagonista in modo particolare, che è interpretato dal romanziere: effetto doppiamente autobiografico) e collettive. Giacché una classe – questa, mille altre – finisce con l’essere il luogo in cui le contraddizioni esplodono e ciò nonostante riescono a convivere, facendo emergere paradossi veri. Come quello che sottolinea un docente durante un consiglio (ed è un interrogativo che si rivolge in realtà al pubblico, cioè al mondo “esterno”): salvare un ragazzo dall’espusione potrebbe essere una buona azione. Ma che senso ha trattenerlo, se poi lo si lascia solo nell’angolo ad affondare?
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