Scuole di cittadinanza

La cittadinanza agli adolescenti? Rende l’integrazione più semplice

È importante approvare lo ius scholae perché «proprio a scuola l’individuo si forma come persona e, dunque, anche come cittadino. La consapevolezza di non avere possibilità nel nostro Paese invece di recente sta spingendo le famiglie dei più meritevoli a lasciare l’Italia, alla ricerca di luoghi in cui offrire un futuro diverso ai propri figli». Il racconto di Fabio Rocco, maestro di scuola primaria a Padova ed esperto di educazione interculturale

di Rossana Certini

«La scuola è un luogo in cui convivono persone di età, cultura e religioni diverse. La scuola accoglie tutti. Per questo al suo interno si possono costruire processi di cittadinanza». Lo dice senza ombra di dubbio Fabio Rocco, che dal 2021 coordina il primo Patto educativo della città di Padova. Come docente da molti anni sperimenta metodologie di insegnamento innovative per favorire l’educazione interculturale e l’inclusione nell’Istituto comprensivo “San Camillo” della sua città e nel 2017 è stato selezionato dall’Ufficio degli affari istruzione e cultura del Dipartimento di stato Usa per partecipare al programma di scambio International visitor leadership program sul tema dell’integrazione in classe per gli alunni migranti.

«In America ho capito quanto è importante la cittadinanza per attivare significativi processi di integrazione», spiega Rocco, «l’osservazione delle scuole ad alta densità migratorie di città molto diverse tra loro, come per esempio Washington o Detroit, mi ha fatto capire che dare la cittadinanza a chiunque nasca sul suolo americano rende tutti i processi di integrazione più semplici perché tutti i cittadini, fin da piccoli, sentono che il loro futuro è nella nazione in cui sono nati e questo li fa partecipare attivamente alla costruzione del futuro della nazione che sentono loro. Negli Stati uniti ho compreso che il tema dell’identità e di come ci si sente nell’abitare un contesto è fondamentale nei processi di integrazione».

In America ho capito quanto è importante la cittadinanza per attivare significativi processi di integrazione. Tutti così, fin da piccoli, partecipano attivamente alla costruzione del futuro della nazione che sentono loro

È come dire che se non ci si sente di appartenere a un luogo e non ci si riconosce come suo cittadino, allora si è più propensi a non integrarsi.

«Se sentirmi cittadino di un luogo mi porta a partecipare attivamente alla costruzione del futuro e del benessere della comunità in cui vivo», prosegue Rocco, «a maggior ragione è facile capire che se è la scuola lo strumento attraverso il quale posso diventare cittadino della nazione che abito allora il luogo dell’istruzione diventa anche di emancipazione personale e questo mi dà una ragione in più per studiare, essere parte attiva della mia classe e sentire di avere uno scopo. Del resto gli anni che si trascorrono a scuola sono proprio quelli in cui l’individuo si forma come persona e, dunque, anche come cittadino».

Di recente stiamo osservando come la consapevolezza di non avere possibilità nel nostro Paese sta spingendo le famiglie dei più meritevoli a lasciare l’Italia alla ricerca di nazioni in cui poter offrire un futuro diverso ai propri figli

L’esperienza degli ultimi anni fa dire a Fabio Rocco che «se la scuola fosse lo strumento attraverso il quale diventare cittadini italiani, forse eviteremmo la fuga di tanti bravi studenti stranieri. Infatti, di recente stiamo osservando come la consapevolezza di non avere possibilità nel nostro Paese sta spingendo le famiglie dei più meritevoli a lasciare l’Italia alla ricerca di nazioni in cui poter offrire un futuro diverso ai propri figli. Un processo silenzioso che ha amplificato alcune difficoltà oggettive che riscontriamo nelle nostre classi con alti tassi di studenti stranieri. Se si riduce la percentuale degli studenti stranieri meritevoli aumenta, inevitabilmente, quella di chi fa più fatica a integrarsi nel gruppo classe».

Un laboratorio estivo di cucina con i genitori dell’ Istituto comprensivo “San Camillo” (foto di Fabio Rocco)

Ma perché ci sia un processo di integrazione è fondamentale che il mondo dell’istruzione scolastica si faccia carico dell’insegnamento della lingua italiana agli studenti stranieri. Infatti conclude Rocco che «anche per chi non parla la nostra lingua, vale quanto diceva don Milani: “Sei uomo se sei padrone della tua lingua”. Partendo da questa certezza da molti anni nella scuola in cui lavoro abbiamo attivato campus estivi che grazie alla collaborazione con realtà del Terzo settore permettono di insegnare l’italiano ai bambini e ai ragazzi che frequentano l’istituto attraverso laboratori artistici, scientifici e giochi motori. Durante le attività la composizione eterogenea per età consente di offrire e ricevere supporto tra pari. La scuola in questo modo si mette in ascolto delle esigenze del suo territorio creando occasioni educative di qualità e opportunità di socializzazione e gioco in un contesto attento ai bisogni dei bambini e dei ragazzi».

In apertura studenti dell’Istituto comprensivo “San Camillo” di Padova (foto Fabio Rocco)

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