Cultura

La cicerchia, sfida italiana agli ogm

Un pugno di contadini da anni raccoglie sementi di piante in via di estinzione. Il mercato è infatti dominato dagli ibridi, varietà modificate per migliorare la resa del prodotto

di Giampaolo Cerri

C’è un pomodoro con quattro volte più vitamina A degli altri e un altro con il doppio di vitamina C: si chiama Caro Rich. La zucca Siam invece è capace di conservarsi a temperatura ambiente per oltre due anni. Jacob’s Cattle Gasless è invece il fagiolo “senza gas” che non provoca sgradevoli gonfiori. Non si tratta di un catologo di prodotti biotech, ma di varietà rare, pazientemente coltivate da Alberto Olivucci nel suo orto sulle colline marchigiano romagnole. A San Leo, in provincia di Pesaro, nella cui rocca morì il conte Cagliostro. Eppure oggi l’industria biotecnologica sta investendo migliaia di miliardi per manipolare i geni e ottenere caratteristiche simili a quello che la natura offre. Senza costosissimi brevetti. Ma forse il punto è proprio questo. Olivucci, 38 anni, romagnolo, oltre a fare l’agricoltore biologico è infatti un salvatore di semi. Con altri appassionati ha fondato l’Associazione Civiltà contadina e punta alla realizzazione di almeno 100 orti in tutta Italia dove coltivare le varietà orticole in estinzione. È questa associazione che lancia la Settimana di civiltà contadina, organizzando 38 iniziative dal 19 al 27 maggio, alcune delle quali le trovate qui a fianco (le altre su www.vita.it). Non sembri una questione da poco. In Italia e nel mondo, negli ultimi decenni, si è verificata un’ecatombe di varietà ortofrutticole: uccise dall’industrializzazione forsennata dell’agricoltura e dall’ibridazione selvaggia delle piante. Insomma dal mercato. Via i frutti troppo grandi per entrare nei barattoli delle industrie conserviere, troppo pesanti per affrontare il dettaglio, troppo lunghi nella maturazione e quindi economicamente poco convenienti. Così l’inesorabile legge della domanda ha condannato a morte migliaia di piante. E il colpo della staffa lo sta dando il biotech, in nome del business. Un “genicidio” che si capisce partendo dal cocomero: «Delle venticinque varietà di cui si trovava menzione nei listini delle ditte sementiere del passato e nei testi di agricoltura, non c’è più traccia». Ci siamo giocati l’anguria Rossa di Cremona, la Gigante di Bagnocavallo, la Scorza nera di Brindisi. «Sopravvive il Moscadello, a pasta arancione», dice Olivucci, «i cui semi sono gelosamente conservati nei congelatori dell’Agenzia regionale per lo sviluppo e l’innovazione della Regione Toscana». Insomma stiamo facendo la festa alla nostra biodiversità. E la lista dei desaparecidos si allunga: non c’è più traccia del sedano violetto di Tours, dell’asparagio di Albenga, di quello di Pistoia, Novara, Chiavenna. Per non parlare della cicerchia, legume tipico dell’Appenino umbro-marchigiano, o la Buonadama, ortaggio siberiano che si era diffuso come sostituto dello spinacio in tutto il Nord Italia. L’ibridazione con i suo cloni domina il comparto ortofrutticolo: «Dei 25 cetrioli che il mercato interno sementiero dispone non uno appartiene alla tradizione agricola italiana», informa Olivucci. «Delle 323 varietà di pomodoro commercializzate solo 20 sono tradizionali e autenticamente italiane e più vecchie di trent’anni. Delle 106 varietà di peperone commercializzate solo 17 sono locali». Uno studio di pochi anni fa sui cataloghi delle 250 maggiori industrie sementiere Usa dava un responso shock: rimaneva solo un terzo delle varietà presenti dieci anni prima. E in Europa gli ibridi raggiungono l’85%. Ma la questione non è esclusivamente romantica, non ha a che fare con il fondamentalismo bucolico ma con l’ambiente. La perdita della biodiversità ha costi altissimi: variazione del clima, aumentata salinità dei suoli che porta all’infertilità e alla desertificazione, propagazione di virus e parassiti un tempo inesistenti. «L’80% dei cibi dell’umanità è ricavato da appena 20 famiglie», avverte Olivucci, «se perdiamo la loro biodiversità e la loro capacità di adattamento ai cambiamenti climatici e ambientali in atto, mettiamo in pericolo il genere umano». Ma cosa vogliano fare i salvatori, con i loro 100 orti conservativi? Quello che stanno facendo migliaia di altri colleghi nel resto del mondo i quali hanno costituito una rete vera e propria: la Seed Savers Exchange (www.seedsavers.org), attraveso la quale si scambiano le varietà, allargando e aumentando il raggio di conservazione. «Un’agrobiodiversità difficile anche solo da immaginare», garantisce Olivucci, «oltre 4.000 le varietà di pomodoro, 1.200 i peperoni, 850 le lattughe, 200 di aglio, 3.500 i fagioli: questi sono solo alcuni dei numeri della rete dei seed savers di oltreoceano». In Europa lo fa l’austriaca Arche Noah (www.arche-noah.org), con le sue 8.000 varietà conservate e distribuite, la svedese Sesam che ne conta 4.000. Gli stessi che conservano Hadra in Inghilterra, Terre Vivante (www.terrevivante.org) in Francia, Pro Specie Rara in Svizzera. Lo stesso vogliono fare Olivucci ed i suoi amici, tra i quali Carlo Morgagni a San Pietro in Trento (Ra), Augusto Russo e a Caiazzo (Ce), Graziamaria Gatti a Borgo Val di Taro (Pr). Guardano al boom dei vicini austriaci di Arche Noah, che si basa anche su importanti finanziamenti dell’Ue. L’ennesima storia di schizofrenia comunitaria: Bruxelles finanzia progetti di tutela della diversità, Strasburgo, con le sue direttive agricole, ne è stata in tempi recenti una irriducibile nemica. Come quando ha emanato un regolamento per la circolazione dei prodotti ortofrutticoli nel mercato unico che fa paura. Vincoli di peso, lunghezza, numero dei germogli contenuti in ogni varietà. «Un melone come Early Grey, dalla polpa bianca e succosa è fuori norma perché pesa meno di 250 grammi», spiega Olivucci. Vallo a spiegare ai burocrati. Avversari strenui dell’ibridazione – «una semente ibridata, che l’agricoltore riacquista ogni anno, costa cinque volte di più di una pura» -, i salvatori si oppongono agli Ogm, che per la loro filosofia rappresentano il culmine dell’attacco alla biodiversità. Di fatto la loro coraggiosa Arca di Noe è un dito quotidianamente puntato contro il transgenico. Info: tel. 0543.32282


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