Cultura
La chiesa: verità, carità e speranza le doti del buon giornalista
L'arcivescovo Foley ha tracciato il vademecum del buon cronista parlando ai giovani giornalisti dell'Unione cattolica internazionale della stampa (Ucip) riuniti a Friburgo
di Paolo Manzo
“Essere giornalisti significa contribuire a costruire una società migliore” e sono necessarie “fede nella verità, carità, speranza per fare il mestiere di cronista”.
Così l’arcivescovo John P. Foley ha parlato ai giovani giornalisti dell’Unione cattolica internazionale della stampa (Ucip), riuniti a Friburgo (Svizzera) per riflettere sui “media di fronte alla sfida della globalizzazione”.
“Abbiate anzitutto il fermo desiderio di servire la verità, non l’ideologia, i pregiudizi personali, la correttezza politica o il conformismo” ha detto il presidente del Pontificio Consiglio per le comunicazioni sociali. L’arcivescovo ha poi sottolineato il profondo senso di responsabilità che deve sempre accompagnare noi giornalisti: “Una parola detta, una parola stampata, un’immagine televisiva non possono essere richiamate indietro; se quella parola è sbagliata, si provoca un danno incalcolabile alla reputazione di una persona o di un bene”.
E la carità è necessaria perché, sempre secondo mons. John P. Foley “nel nostro mondo travagliato non abbiamo bisogno della rabbia e dell’odio, ma di strumenti di pace”.
“In una sintesi” ha concluso l’arcivescovo “essere giornalisti significa contribuire alla costruzione di una società migliore. Trovare segni e uomini di speranza puo’ indurre gli altri ad emularli o essere ispirati da nuove idee. La verità che i giornalisti devono sempre cercare, infatti, non consiste solo in cattive notizie, quali guerre, violenze, terrorismo, corruzione, ma anche in molte buone notizie: a cominciare dal costante, segreto eroismo di coloro che si impegnano nel servizio ai fratelli”.
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