Non profit

La Chiesa soffre, ha bisogno di più volontariato

di Giuseppe Frangi

Vita buona, vita felice. Oltre l?utopia per una storia nuova. Segna decisamente bel tempo il barometro delle Acli, visto il tema scelto per il consueto e atteso convegno annuale di Orvieto. E non può che esserne contento Andrea Olivero che per la prima volta vive questo evento da presidente. Essere presidente delle Acli vuol dire essere alla testa di un esercito di ben 900mila iscritti («In crescita, anche se non in crescita tumultuosa», chiosa con onestà il presidente). E vuol dire parlare da un pulpito dal quale per otto anni ha parlato Luigi Bobba, figura storica del movimento, oggi senatore della Repubblica nelle fila della Margherita. Olivero, essendo piemontese, è corregionario di Bobba. è stato presidente provinciale a Cuneo ma soprattutto ha aperto l?esperienza della comunità Emmaus nella sua città seguendo il carisma dell?Abbé Pierre. «Un personaggio davvero coraggioso e formidabile. A lui devo davvero tanto». Vita: Veniamo all?oggi. Vita buona, vita felice è davvero un bel programma. Forse anche troppo? Andra Olivero: Non è troppo, perché come dice il sottotitolo l?importante è andare oltre l?utopia. Come ha detto Paolo VI, «la vera felicità include anche la certezza che non esiste una felicità perfetta». Il lavoro di Orvieto lo vedo come uno sforzo per un valore reale alle parole. Felicità, per esempio, è una parola sulla bocca di tutti. Ma la frequenza d?uso è direttamente proporzionale alla difficoltà di comprenderla e di farla diventare esperienza. Forse perché in questi anni è stata equivocata in tutti i modi. Vita: Ad esempio? Olivero: Mi riferisco alla prospettiva dell?autosufficienza propugnata dal liberalismo. O a quella dell?egualitarismo utopico che dal marxismo è approdata al consumismo. Oggi i mass media imbrogliano tutti, facendo credere che un ruolo sociale di rilievo derivi da una serie di relazioni illusorie. Ma è solo un sogno. Vita: E invece? Olivero: Invece la felicità consiste nella qualità delle relazioni. Per i cristiani si tratta di relazioni di due tipi: verticale e orizzontale. C?è una relazione trascendente e una sociale. Se sono buone relazioni, cioè capaci di dare soddisfazione alla persona mettendo al centro la sua libertà e le sue potenzialità, ecco che la felicità diventa un fatto sperimentabile. Se penso alla missione di un?associazione come la mia credo sia essenzialmente questa: creare rapporti buoni tra le persone. Vita: Colpisce questa sua insistenza sul valore delle relazioni. Sembra quasi una tacita risposta ad un cristianesimo troppo incentrato sui valori. è così? Olivero: Non vedo un?opposizione. Perché la relazione si regge su una propensione alla virtù. Su scelte chiare in termini di valori. Altrimenti restano relazioni fluide che svaniscono da un momento all?altro. Vita: All?orizzonte c?è anche l?appuntamento della Chiesa italiana a Verona. Che cosa si aspetta? Olivero: Ribalto la domanda. La vera questione è cosa si aspetta la Chiesa da noi laici. Dobbiamo avere un ruolo attivo, decidendoci a passare dalla teoria del laicato a formule più compiute di corresponsabilità. Non è il momento delle richieste ma del farsi trovare pronti. Per questo sono contento che tra Orvieto e Verona ci sia una continuità di temi e che quindi il nostro convegno possa essere un passaggio di preparazione: tra felicità e speranza (titolo del convegno ecclesiale di Verona, ndr) il filo conduttore è evidente. Vita: Su tanto ottimismo sembrano incombere le nubi di nuovi conflitti infra cattolici. Il Meeting è stato un segnale? Olivero: Nelle nostre organizzazioni c?è una spinta verso un rafforzamento identitario. Quello di Rimini è stato il segnale più evidente, ma è una tendenza che ci riguarda tutti. Ma non sono allarmista, perché la stagione di condivisione che abbiamo vissuto in questi anni, tutti come corresponsabili della nostra Chiesa, è stata un?esperienza di cui ognuno ha avvertito la positività. Del resto anche noi nel percorso che ci porterà alla conferenza organizzativa di dicembre a Bari abbiamo messo al centro la riflessione sull?identità, insieme a quella sull?azione volontaria. L?importante è non annullare il cammino comune sin qui fatto. Vita: Perché questo richiamo all?azione volontaria? Olivero: Innanzitutto è una necessità che riguarda la vita delle Acli, perché un?associazione come la nostra può essere tentata dal far prevalere l?impegno nelle imprese sociali rispetto a quello della gratuità. Ma questo tema ha una valenza ancor più generale perché nella nostra Chiesa notiamo tanti segnali di stanchezza. Li registriamo negli oratori o nell?azione quotidiana delle parrocchie dove tante opere che venivano portate avanti dai laici sembrano vivere momenti di crisi e invece vanno sostenute e rilanciate. Ma proprio ora che gli spazi di gratuità si stanno riducendo, quello dell?azione volontaria diventa un tema strategico, un servizio utile alla Chiesa.


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