Famiglia
La casa delle donne ombra.
Vittime della tortura e degli stupri, hanno trovato un asilo in Italia. Assistite da medici e psicologi volontari che si prendono cura di loro.
Quante sono le donne rifugiate che hanno subito una violenza sessuale e che hanno riparato in Italia? Nessuno lo sa. Non ci sono infatti dati relativi all?intero territorio nazionale provenienti dalle associazioni, figuriamoci, come li possa aver elaborati uno Stato ancora sprovvisto di una legge in materia di asilo umanitario. Niente statistiche uguale nessuna possibilità di analizzare il fenomeno. Eppure le donne rifugiatesi in Italia, stuprate nei Paesi di provenienza, esistono. Eccome. Ma spesso – è triste rilevarlo – vengono addirittura confuse dalle autorità italiane con i normali migranti economici.
Fiorella Rathaus, sociologa del Cir, (via del Velabro 5, Roma, tel: 0669200114) è responsabile del progetto di accoglienza e cura delle vittime di tortura (Vi.to.). Il progetto è iniziato nel marzo 1996 grazie alla sinergia con alcuni medici e psicologi volontari di Amnesty international. Il programma è finanziato in buona parte dall?Unione europea e, in minima parte, dall?Acnur, dal Fondo europeo per le vittime della tortura e dallo stesso Cir. «La nostra è la prima esperienza organica del genere in Italia», esordisce Rathaus. Che continua: «Il programma è nato per sostenere le vittime di tortura che, qualche tempo fa, erano soprattutto uomini. Tuttavia, dopo il conflitto dei Balcani, siamo sempre più frequentemente venuti a conoscenza di storie di donne rifugiatesi in Italia e che sono state torturate e stuprate per motivi etnici». Maria G. è una sopravvissuta al genocidio centroafricano del 1994. Oggi ripete: «Mia figlia, mia cognata ed io non siamo state ?solamente? stuprate. Ma siamo state stuprate e percosse ogni giorno, per un mese intero».
Intanto l?Afghanistan, Stato controllato in gran parte dalle milizie dei Taleban, è già sotto la lente d?ingrandimento dell?organizzazione umanitaria Human Rights Watch: la città di Mazar-i-Sharif resta nota per il ratto delle donne hazara, musulmane sciite, poi ferocemente violentate dai Taleban sunniti. La Bosnia è la terra dove le donne hanno sofferto maggiormente. Negli anni della guerra della ex-Jugoslavia, più di 20mila donne sono state infatti violentate e molte di esse soffrono tuttora a livello psicologico, pesantemente, del male ricevuto. Recentemente, per comunicare il loro tormento, il Cir ha proiettato a Roma il documentario americano intitolato ?Calling the ghosts? una storia sullo stupro, la guerra e le donne. Vederlo fa ben immaginare cosa possa provare una donna violentata. Jadranka Cigelj e Nusreta Sivac, imprigionate e stuprate ripetutamente dai serbi nel famigerato campo di Omarska, sono le protagoniste del documentari: loro hanno coraggiosamente deciso di raccontare al mondo la loro crudele esperienza con l?unico scopo di far condannare i loro torturatori dal Tribunale internazionale dell?Aja. «Eppure tante donne che hanno subito le torture e la violenza sessuale in particolare», afferma il dottore Ettore Zerbino, presidente di Medici contro la tortura, associazione che fornisce direttamente assistenza psicologica e sanitaria a donne torturate e stuprate, «lo nascondono e portano con esse questa loro sofferenza per tutta la vita. Questo perché hanno soprattutto timore che il mondo esterno giudichi comunque male il fatto che sono state stuprate». Gli fa eco Edita Ostojic, cinquantenne psicoterapeuta di Zenica, città della Bosnia settentrionale, che cura le donne vittime di tortura . «In Bosnia, delle donne che hanno subito violenza, il 40% guarisce completamente. Ma l?altro 60 % resta traumatizzato e per oltre il 25% la violenza subita si trasforma, purtroppo, in una malattia cronica e incurabile». ?
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