Non profit

La Casa Bianca e il terzo incomodo

Primarie americane/ Il non profit questa volta non sta a guardare: non era mai successo che la società civile giocasse un ruolo tanto decisivo nella corsa alla Casa Bianca

di Carlotta Jesi

C’è un aspirante presidente degli Stati Uniti perfino più visionario, coraggioso e innovativo di Barak Obama. L?unico che in queste primarie dominate dalla promessa di cambiamento – il ?generation change? del senatore nero, lo ?smart change? della Clinton, il ?real change? di Edwards e l??inner change? di John McCain – abbia veramente provato a mutare le regole della corsa alla Casa Bianca. Stiamo parlando del terzo settore americano: un universo con 14 milioni di occupati, il 10% della forza lavoro nazionale, e beni per quasi 2mila miliardi di dollari, che stavolta non si è limitato a fare lo spettatore. In barba alla sezione 501(c)(3) del Codice delle entrate, che concede alle charity l?esenzione dalle tasse a condizione che non si occupino di politica, la società civile americana ha deciso di tuffarsi nella campagna elettorale.

Il primo a violare la legge, lo scorso autunno, è stato Bill Gates: dal suo blog ha sollecitato tutti i partecipanti alle primarie a rinnovare la President?s Malaria Initiative lanciata nel 2005 da George Bush con 1,2 miliardi di dollari per dimezzare i morti di malaria in 15 Paesi africani. Non solo: la Gates Foundation ha annunciato l?intenzione di spendere 60 milioni di dollari per rendere il miglioramento dell?educazione scolastica una priorità delle presidenziali 2008. Lussi da uomo più ricco del mondo? No. Incoraggiate dal superfilantropo, anche le piccole non profit sono entrate in campagna elettorale lanciando un movimento – il Nonprofit primary project – con un obiettivo semplice e al tempo stesso molto ambizioso: portare la società civile al centro del dibattito spingendo i candidati democratici e repubblicani a spiegare chiaramente che ruolo avrà il non profit nella loro Casa Bianca.

Parola d?ordine: bird-dogging
«Vogliamo sederci al tavolo del futuro presidente e farci ascoltare», ha dichiarato al Time Robert Egger, uno dei fondatori del Primary project che di mestiere fa il direttore di una mensa per i poveri a Washington. Il modo migliore per stanare i candidati? Egger suggerisce una rivoluzione mentale senza precedenti per il non profit a stelle e strisce – «Presentarci come l?unica forza in grado di risolvere i problemi sociali sul territorio invece che come collettori di beneficenza» – e una strategia a metà tra il lobbismo e il talk show televisvo: il bird- dogging. ?Bird? come uccello, il candidato del caso, e ?dogging? come mettergli i cani alle calcagne. Per braccarlo, sfiancarlo, stanarlo e fargli sentire il proprio fiato sul collo.

Minacciandolo, anche, se necessario, come è accaduto a Hillary Clinton.
In settembre, l?ex first lady ha firmato un documento che impegna il prossimo presidente a stanziare 50 miliardi di dollari per combattere l?Hiv entro il 2013. Un consenso interessato: il gruppo Act Up aveva infatti minacciato di minare la sua campagna elettorale con azioni di protesta se non avesse sottoscritto il documento. Il bird-dogging è stato testato per la prima volta ufficialmente nel New Hampshire, con risultati sorprendenti. Cynthia Mills, direttrice della Tree Care Industry Association di Manchester, è riuscita a incontrare 11 candidati durante dibattiti pubblici strappando a Obama un impegno sul servizio civile – «Lo riformerò secondo i valori dell?imprenditorialità sociale» – e alla Clinton una promessa di «nuovi incentivi e deduzioni per la donazione» oltre a «maggiore trasparenza e sostegno agli enti non profit che si candidano per ottenere contratti pubblici».

Le dichiarazioni dei due front runners democratici, così come quelle dei loro concorrenti repubblicani, sono state immediatamente pubblicate sul sito del progetto – da cui è possibile stampare le regole del perfetto bird-dogging: arrivare in anticipo rispetto al candidato, mostrare di conoscere il suo programma, essere preparati a parlare con i media e mai, assolutamente, sprecare l?occasione per porre una ?softball question?, una domanda troppo accondiscendente o generale. Il tutto, in un?ottica open source: per ?stanare? i candidati non c?è bisogno di essere giornalisti professionisti. Basta lavorare per un ente non profit che non tema di abbandonare la propria, sicura, neutralità politica.

Un ministro del Servizio sociale
Perdere lo status di charity, e i relativi benefici fiscali, non è l?unico rischio che corrono Robert Egger e gli altri leader del non profit usciti allo scoperto in New Hampshire. Dichiarare il proprio sostegno per un candidato, o anche solo metterlo in difficoltà durante un pubblico dibattito, può significare inimicarsi i propri donatori. Perché la società civile, per la prima volta nella storia delle presidenziali, ha deciso di rischiare tanto?
Questioni di soldi, e di agenda, risponde il prestigioso Cronicle of Philanthropy che il 31 dicembre 2007 ha pubblicato sul suo sito un elenco di previsioni e sfide sociali per l?anno a venire. Nei prossimi mesi, cadono due appuntamenti importantissimi per il terzo settore: il venticinquesimo anniversario del rapporto Una nazione a rischio, che ha determinato la strategia su scuola ed educazione negli anni 90, e l?approvazione da parte del Congresso di una legge sul servizio di comunità e nazionale che il prossimo presidente dovrà firmare entro l?11 settembre 2009.

Non solo: il 2008, per cui da tempo si fanno previsioni di crisi dei consumi e di scarsa crescita economica, scatenerà probabilmente una concorrenza spietata sul fundraising. Per evitare di rimanere senza fondi, le charity non possono lasciarsi sfuggire i nuovi donatori e i nuovi attivisti che puntualmente escono allo scoperto durante la corsa per la Casa Bianca.

E questa volta sono soprattutto i ragazzi di Obama a interessare: giovani, con laurea e speranza di una buona carriera, che stanno sostenendo la campagna del senatore nero con piccole ma frequenti donazioni via Internet. Un ?target? che il non profit rincorre da tempo e per il quale il presidente Obama potrebbe studiare nuovi incentivi all?impresa sociale e programmi di volontariato. Tutt?altra musica se a vincere dovesse essere Hillary: la società civile, a cui la senatrice ha promesso un?Accademia del volontariato, si prepari a incentivi filantropici studiati per compiacere i babyboomers che vanno in pensione.

Ma gli obiettivi del non profit made in Usa non finiscono qui. Il Nonprofit primary project, radicato soprattutto in New Hampshire, punta ad estendere la sua azione a tutto il territorio nazionale. Per le primarie e anche dopo che l?America avrà scelto il suo nuovo presidente. Obiettivo: portare a Washington anche un ministro del Servizio sociale e una struttura di lobby efficace e organizzata come le Camere di commercio. Funzionerà?

È presto per dirlo. Di sicuro, c?è che tutti i candidati hanno rimpolpato i loro siti Internet con le rispettive esperienze di lavoro sociale e che dagli Usa parte una provocazione destinata a scuotere tutto il non profit del mondo: l?anti bushismo non è democratico o repubblicano. È un modo diverso di immaginare e di gestire il mondo in cui il non profit è pronto ad abbandonare la neutralità per marciare sulla Casa Bianca.

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