Economia

La Carta di Firenze: l’economia civile abita il territorio della realtà

Tra le novità più importanti delle ultime settimane spicca la Carta di Firenze, un documento innovativo per attivare nuove pratiche di condivisione generativa di valore. «Carta e non manifesto - osserva Elena Granata, vicepresidente della Scuola di Economia Civile - a sottolineare il valore di un documento aperto, inclusivo, ospitale». E, aggiunge Granata, “di Firenze”: «perché le cose accadono nei luoghi e nelle città, luoghi di innovazione»

di Marco Dotti

Otto punti. Otto verbi. Otto condizioni preliminari e al tempo stesso ineludibili per dare forma al futuro.

La Carta di Firenze (CdF), presentata venerdì 25 settembre al Festival dell'Economia civile e consegnata nelle mani del Presidente della Repubblica presenta importanti discontinuità rispetto alle call to action circolanti.

Innanzitutto, la forma. Elaborata in seno alla Scuola di Economia civile (SEC), uno dei più importanti “pensatoi” italiani, la CdF è insieme un documento operativo e un atto di fiducia nella libertà di una pluralità inclusiva di soggetti.

«Carta, non manifesto»

«Carta e non manifesto – osserva Elena Granata, vicepresidente della Scuola – a sottolineare il valore di un documento aperto, inclusivo, ospitale». E, aggiunge Granata, “di Firenze”: «perché le cose accadono nei luoghi e nelle città, luoghi di innovazione».


In secondo luogo, lo spazio: quello operativo della Carta è, al tempo stesso, un io (ognuno è chiamato a farsi carico di una responsabilità), un tu (ognuno è al tempo stesso chiamato ad accogliere una libertà), un noi (tutti siamo chiamati a condividere uno spazio di libertà responsabile).

In terzo, il territorio e la realtà. La mappa non è il territorio. Ma quando la mappa ricopre interamente il territorio il principio di realtà scompare. La CdF è più un territorio da praticare, che una mappa da seguire alla cieca.

La realtà come principio, il futuro come obiettivo

In questo senso, in una fase dove la pandemia sanitaria rischia di diventare endemia sociale, il suo core message consiste nel richiamo al principio di una realtà – largamente positiva – che "dopo il Covid" si è pienamente disvelata: sussidiarietà, interconnessione, cooperazione, ibridazione come matrici della casa (e del bene) comune.

Differenze inclusive e inclusività capaci di generare altre differenze. Valori, desideri, non solo bisogni. Le persone, insegna Amartya Sen, hanno sicuramente ‘bisogni’, ma anche dei valori e, soprattutto, “custodiscono la capacità di pensare, agire e partecipare”.

A questa capacità attiva e di attivazione (ai valori, prima che ai bisogni) si rivolgono gli estensori della CdF.

Dai soggetti, le azioni. I verbi attraverso i quali si declinano gli otto punti della carta sono, non a caso, verbi civici di movimento. Sostenere, credere, promuovere. Ancora: valorizzare, investire, proporre. Infine: coltivare, attivare.

Il tempo, infine. L'oggi è il tempo che sembra segnare la CdF. Un oggi che non termina qui e ora, ma proietta le proprie conseguenze – e le prefigura in termini di responsabilità intergenerazionale – oltre questo tempo.

Il presente è un’ipoteca che poniamo sul futuro.

Il futuro – questo è il richiamo forte della Carta di Firenze- prende forma nell'oggi: nei campi dell’ambiente, della cura, della scuola, del lavoro, della relazione. Il futuro è l'investimento, ma il capitale è qui, ora. In quella costellazione di soggettività – fatta di associazioni, gruppi, ma anche imprese e soggetti ibridi – che chiamiamo società civile organizzata.

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