Cultura

La carezza che anche un papà non sempre riesce a fare

Ieri il Papa ha baciato un uomo con neurofibromatosi, accogliendo con amore un corpo di cui già solo la vista invece è percepita come qualcosa di troppo vicino. Andrea Rasola, presidente dell'associazione Linfa: «è il gesto che tutti noi vorremmo fare»

di Sara De Carli

«Papa Francesco ha fatto quello che ciascuno di noi nel suo cuore vorrebbe fare, ma che in realtà non sempre riusciamo a fare. È un gesto meraviglioso»: Andrea Rasola commenta così, con l’emozione nella voce, le foto scattate ieri in piazza San Pietro e che hanno già fatto il giro del mondo. Ritraggono papa Francesco che abbraccia, accarezza e bacia un uomo di cui non si vede il volto, ma con la pelle coperta di bolle e tumefazioni. Francesco nelle sue prediche fa molto riferimento al “toccare” e usa 42 volte la parola “carezza”, dice Giuseppe Frangi sul numero di VITA in edicola da domani, perché le sue sono “parole che agiscono”: ma Papa Francesco è passato dalle parole ai fatti, toccando con amore un corpo che si preferirebbe forse invece tenere a distanza e di cui già solo la vista è percepita come un contatto fortissimo.

Rasola è un biologo cellulare. Ma è anche papà di una bambina di 8 anni, affetta da neurofibromatosi. Ed è anche presidente di Linfa Onlus, una delle due associazioni che in Italia si occupano di questa malattia rara. «Ho una figlia con questa malattia, ovviamente non ho pregiudizi, però quando mi è capitato di incontrare persone con un aspetto estetico simile a quello dell’uomo ritratto nella foto, anche io ho avvertito un istintivo senso di repulsione. Vorresti abbracciarle, fare il più semplice dei gesti di accoglienza verso queste persone ancora emarginate, ma non è un gesto spontaneo: occorre fermarsi, pensarci, fare un atto di volontà. Papa Francesco lo ha fatto e questo gesto ci apre il cuore».

La neurofibromatosi è una sindrome rara, che colpisce un nuovo nato su 3mila. In Italia ne soffrono circa 20mila persone, «più di quelle malati di fibrosi cistica e distrofia, che pure sono due patologie assai più conosciute», dice Rasola. La conoscenza e la sensibilizzazione quindi è un obiettivo fondamentale, anche perché «la varietà dei sintomi è estrema, in Italia le persone con un aspetto simile all’uomo della foto si contano nell’ordine delle decine, la gran parte delle persone conduce una vita normale, studia e lavora». La neurofibromatosi comprende un gruppo di malattie genetiche diverse, con caratteristiche eterogenee e grande varietà di sintomi clinici. Rasola spiega che «i primi tratti caratteristici sono delle macchie caffè latte sulla pelle, almeno sei. I neurofibromi, cioè quegli ingrossamenti che si vedono nelle foto, sono dei tumori benigni della guaina nervosa, che compaiono in età adolescenziale: lì c’è un problema estetico e di stigma, ma dal punto di vista clinico il vero pericolo della malattia sono i neurofibromi più profondi, che non si vedono, che difficilmente sono trattabili e che a volte diventano maligni e in generale c’è una maggior facilità a sviluppare tumori: è questo che spaventa noi genitori».

Padova è un centro di eccellenza per la diagnosi e la valutazione, ma una cura per la malattia poi non c’è e anche la ricerca – in particolare quella di base – si è mossa poco in questo ambito. Nei bambini spesso la malattia comporta alcuni problemi cognitivi a fare attività specifiche, come il coordinamento dei movimenti fini o nella memoria operativa: «se ben trattati e seguiti da una rete di specialisti si riesce a ottenere molti benefici, per questo uno dei nostri obiettivi è rendere accessibile a tutti, sul territorio, un percorso riabilitativo adeguato», dice Rasola.

«Il nostro scopo è innanzitutto quello di creare una comunità in cui queste persone si sentano accolte. Negli Stati Uniti è diverso, le persone si sentono più incluse, l’associazione stessa ha una sezione con le foto e le storie dei malati, che chiama "NF heroes". Alcune persone sono diventate psicologhe e si occupano del trattamento psicologico degli altri malati, sperimentando tutto in prima persona. In Italia invece questa malattia è vissuta ancora come una tara genetica, e le persone tendono a isolarsi e ad autoemarginarsi. È un lavoro culturale lungo». Papa Francesco di sicuro con un solo passo ha fatto un bel pezzo di strada.

Nella foto in copertina, la schermata del sito dell'Huffington Post oggi.


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