Politica

La Cai non sia un parafulmine

di Redazione

L a vicenda della Compagnia aerea italiana si presta a qualche riflessione, partendo da una notizia non del tutto confermata, ma purtroppo neppure smentita (e questo è un fatto grave, come ha sottolineato la Fish). Uno dei motivi per i quali alcune sigle sindacali hanno contestato l’accordo aziendale, si riferisce ai diritti dei più deboli, ossia le donne incinte e i familiari di persone con disabilità. In entrambi i casi queste sigle hanno sostenuto che nel piano delle riassunzioni verrebbero di fatto escluse queste fasce di lavoratori, ossia proprio le persone più fragili e in qualche modo più bisognose di certezze.
Ho avuto la sensazione, anche se non posso averne le prove, di un uso strumentale di questo argomento. Si tirano fuori le donne in gravidanza e i disabili gravi per colpire al cuore l’opinione pubblica e mettere sul tavolo un argomento forte, che non sembra corporativo, ma anzi di solidarietà sociale. Mi pare davvero sorprendente, direi impossibile, che sindacati che hanno contribuito da sempre a favorire le leggi di tutela per queste categorie si siano lasciati sfuggire un particolare così evidente. E infatti sembra che le cose non stiano così.
E allora vale la pena di ragionare in modo più generale. In tempi di crisi, l’enorme fascia di precariato sta pagando sicuramente il prezzo più alto sul fronte dell’occupazione. Le famiglie con persone disabili, e le donne, giovani e con il legittimo desiderio di avere dei figli, non possono programmare nulla, e sono esposte al ricatto continuo di datori di lavoro che non sono sotto le luci della ribalta come Cai, ma più semplicemente e nel silenzio aggirano, eludono, ignorano le leggi di tutela. Come fare per ridurre questo scempio quotidiano? Non solo all’ex Alitalia ma ovunque, dai call center alle grandi e piccole aziende in difficoltà. Qui la mano pubblica deve essere presente, in modo solidale e serio. Su questo il terzo settore deve e può dire la sua.

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