Non profit

La Brianza che non vuole diventare Dallas

Storia di una mobilitazione trasversale nata dal basso

di Daniele Biella

Oltre 25mila aderenti, 400 associazioni coinvolte.
In uno dei feudi del centrodestra cresce
il movimento contro
le trivellazioni nel parco di Montevecchia. Con i sindaci pronti a gesti estremi…
Brianza is not Dallas. Quello che a prima vista è un adesivo che fa sorridere e che spopola sulle auto del ricco triangolo di Lombardia tra Monza, Lecco e Como, è in realtà un avvertimento: «No al pozzo petrolifero nella mia terra». C’è fermento nel cuore della Brianza. C’è un movimento nato dal basso e sempre più di massa (25mila i firmatari, in poco più di un mese, di una petizione ad hoc), capace di unire le anime brianzole (feudo di Lega e Pdl, con poche eccezioni) nell’opporsi all’ultima frontiera della longa manus della globalizzazione: «Vogliono estrarre petrolio nei 2.350 ettari protetti del Parco di Montevecchia e Valle del Curone», spiega Alberto Saccardi, presidente del comitato popolare sorto all’indomani della «triste scoperta». È qui che la multinazionale australiana Po Valley vuole estrarre quell’oro nero che, «secondo studi dell’Agip del 2001, si trova a 3.500 metri di profondità, sotto colline e cascine del parco», prosegue Saccardi.
Modello Texas: lo scenario futuro è da brividi. Campi invasi da trivelle, agriturismi a due passi dai pozzi. «Il tutto con l’avallo del governo italiano, proprietario del sottosuolo, che a maggio 2009 ha rinnovato per 16 mesi la concessione alla Po Valley per localizzare gli idrocarburi».
Il movimento nasce dall’iniziativa di «23 cittadini estranei ai palazzi della politica, che creano il comitato”No al pozzo”, oggi appoggiato da 400 soggetti, tra cui vari enti non profit, dal WWF al Cai, dal Gev (Guardie ecologiche volontarie) a Legambiente e al Fai. «Un comitato trasversale, dove l’unico colore è quello del territorio», aggiunge il professore universitario e capo del Cai locale, Alessandro Fasso, «è questa la nostra forza: più che no global, amiamo il luogo in cui viviamo. E mettiamo d’accordo tutti gli enti locali, come è successo il 15 giugno a Lecco», quando il Consiglio provinciale, dopo aver interpellato i “No al pozzo”, si è espresso all’unanimità contro l’estrazione. Tre giorni prima, il comitato aveva portato in piazza tutti i sindaci della zona (il parco si estende su 10 comuni), facendoli “uscire” dagli schemi di partito: dal leghista Andrea Robbiani, neoeletto a Merate, che dice«convinceremo anche la Regione, che poi imporrà al ministero l’archiviazione della pratica Po Valley», a Marco Panzeri di Rovagnate (lista civica di centrosinistra), che incita i brianzoli a essere «padroni nella propria terra». Il segreto del movimento? «Dimostrare l’inutilità del pozzo partendo dal lato economico prima che ambientale: le royalties e gli eventuali nuovi posti di lavoro porterebbero vantaggi irrisori alla popolazione», spiega Saccardi. E se la Po Valley avrà via libera? «Un sindaco, pensionato, ha dichiarato che si butterà tra le trivelle. Non lo lasceremo andare da solo».


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