Non so se esista un concorso di critical fashion. Ma se ci fosse, candiderei questa borsa come accessorio dell’anno. E’ fatta da una cooperativa di inserimento che lavora nel carcere di Lecce: costruita con tessuti di scarto, ognuna diversa dall’altra e con un design davvero di qualità. E’ il terzo convegno dove la trovo distribuita ai partecipanti, dunque un oggetto di successo, nonostante il costo sia superiore a quello delle tradizionali, e ormai inflazionate, borse di cotone serigrafate. Al convegno Espanet di qualche giorno fa la borsa cadeva a fagiolo rispetto al titolo della sessione che mi trovavo a coordinare: le forme di partecipazione degli utenti nelle organizzazioni di terzo settore. Di solito, se non si fa solo retorica, ci si riferisce al coinvolgimento in attività di programmazione o, più spesso, di valutazione dei servizi. Invece quella borsa è un bell’esempio di coproduzione, dove cioè i beneficiari contribuiscono con il loro lavoro a generare il bene di cui usufruiscono. Una borsa che ingloba inclusione sociale e che nel fatto di essere uguale nella struttura ma diversa nei tessuti è emblematica rispetto alla necessità di “tagliare” i percorsi sui bisogni e le risorse di chi li intraprende.
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