Famiglia

La bionda di Playboy sfida l’inferno

È bella, alta e molto sexy. Eppure cinque anni fa ha scelto di lasciare le pagine di Playboy per assistere i bimbi di Porte au Prince. E oggi qualcuno, grazie a lei, può finalmente sorridere

di Rosanna Schirer

Il braccino magrissimo di Louis è appeso in giù senza forza. Anche la sua gamba sinistra è deforme. Ha 4 o 5 anni ma non sa dire molto di più oltre a ?mamma? o ?papà?. Per lui ogni uomo si chiama papà e ogni donna si chiama mamma. Ma sulla sua faccia c’è il più grande sorriso del mondo. In quanto il trovatello non vive più nei bassifondi di Port-au-Prince. Per lui la comoda e bianca casetta in una parte di Demas sul cui portone è scritto in grande ?welcome?, assomiglia al paradiso. Qui Louis ha un letto singolo, tre pasti al giorno, fiducia e addirittura giocattoli e con ciò molto di più di quanto abbiano la maggior parte dei bambini sani a Haiti.
Di solito i bambini come lui non raggiungono quest’età, di solito muoiono prima. Senza dar fastidio, da qualche parte tra lattoniere e immondizia. Oppure, vengono portati sugli scalini degli ospedali pubblici. Sistemati in scatole di cartone, raccolti in un giornale. E qui ammassati, più morti che vivi, su ripiani maleodoranti. Come spazzatura. Però Louis un giorno ha trovato Susan Scott. L’americana bella e con la criniera bionda che non riesce a passare inosservata, la cui storia è stata raccontata dal settimanale Stern.
In questa casa bianca tutto gira intorno a lei, gli haitiani la chiamano ?mama blanche?, la mamma bianca che fa del bene per i ?più poveri dei poveri? nei bassifondi della capitale, da anni. L’accompagno nel suo lavoro nel reparto pediatrico dell’ospedale dove Susan prova a garantire una vita o almeno una buona morte ai bambini menomati. Oltre alla sua stazione-ambulanza per i bambini rifiutati, l’americana di Aspen nel Colorado, vuole realizzare un centro “ricostituente” di sostegno alimentare per i minori a Cité soleil (città del sole): nome poetico che sta per uno dei peggiori bassifondi del mondo. Sono le 7 di sera. Qui le case non hanno bagno, né acqua, né elettricità e il pavimento è in cemento. Ma solo pochi se lo possono permettere. E nel mezzo di questa situazione ?inconsolabile? ecco uno di questi centri di sostegno alimentare. Mezz?ora prima dell’apertura ci sono già stormi di bambini. Salutano Susan con giubilo: lei capisce le frasi a metà «dovrei finalmente imparare a parlare il creolo in modo corretto», dice, e come risposta indica un “high five”, come usano gli americani del basket per salutare. Quando l’americana cinque anni fa, arrivò per la prime volta a Cité soleil, venne accolta dal lancio di sassi e da male parole. Cosa voleva quest’elegante donna bianca qui dove si combatte ogni giorno una guerra per la sopravvivenza? Solo in pochi sanno che l’assegno mensile di 1.800 dollari che tiene in vita il centro arrivava dalla “Foundation for World Wide Mercy and Sharing”. «Non ho mai portato da sola i soldi qui» , dice Susan, «li faccio consegnare da un intermediario affinché a nessuno possano venire strane idee». Appena passano 60 ragazzi il portone si chiude se no ne arriverebbero almeno altrettanti per aver due pasti caldi. «Chi è visibilmente sotto peso e non ha più di 4 anni di età viene accettato», dice il Pastore Ludner Paptistin, che dirige il centro. Quando un bambino raggiunge il peso normale deve andarsene: lascia il posto a un altro bimbo. Oggi per colazione c’è, come quasi sempre, avena con cannella così come il pranzo consiste, quasi sempre, in riso e fagioli. «Il massimo che possiamo fare», dice Susan, «è ridurre un pò la povertà e questo è già maledettamente tanto».
Fuori, davanti alla porta di ferro ci sono ancora dei bambini. Il 90 per cento degli uomini che passeggiano fuori non sanno leggere e scrivere. Non hanno mai avuto un lavoro e raramente hanno conosciuto il loro papà. Camminano scalzi e con magliette stracciate con scritte come ?Hudson Bay Seafood? o ?Chicago?s Greatest Steackhouse?. «Qualche volta ho la sensazione che tutti i miei sforzi non abbiano senso perché in questo paese non cambia mai niente». Ma poi si allungano di nuovo le braccia dei bambini e lei sa che «poco è sempre meglio di niente».
E così Susan, cristiana credente, ex-modella per Playboy, continua la sua opera. Anche ad Haiti indossa i suoi jeans di marca e la sua catenina con il cuore di diamante al collo. Nella sua borsa da viaggio c?è un libro di Madre Teresa ma è abbastanza critica da riconoscere che nella vita ci vuole anche un pò di egoismo.
«Non voglio semplocemente allungare la vita di questi bambini, ma migliorare la qualità della loro vita», dice Susan Scott. «Louis rideva quando la vide per la prima volta all?ospedale. Ma oggi», spiega, «ride molto, molto di di più ».
Mamma, mamma, urla il ragazzino con la palla sulle ginocchia. «Qui c?è ancora molto posto», conclude Susan, mentre gioca con Louis , «domani cercherò di andare a prendere Samuel per portare qui anche lui».

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