Percezione & Cognizione
La bellezza apre gli occhi e promuove il cambiamento
L'esperienza estetica attiva meccanismi sensoriali, emotivi e cognitivi (e interpersonali) tali da estendere la percezione di noi stessi e degli altri, liberando dalla nostra particolare prospettiva e aprendoci a nuove dimensioni. Aspirare al meglio, estendendo le nostre possibilità per agire sulla realtà, è quanto ci rende umani. Ne abbiamo parlato con lo studioso Ugo Morelli
Il giudizio estetico, elaborato in regioni cerebrali evolutivamente recenti, incide anche su un sistema arcaico come quello nocicettivo. Infatti, l’osservazione di un dipinto riduce la percezione di stimoli dolorosi e l’intensità del dolore provato varia con la bellezza dello stimolo visivo. Lo studio tutto italiano che l’ha dimostrato, apparso sulla rivista Cognition Consciusnees and Cognition, si è aggiudicato esattamente dieci anni fa il premio IgNobel, una parodia del celebre riconoscimento che viene assegnata a ricerche che fanno ridere e poi pensare.
Come la bellezza incide sulla percezione del dolore? Modulando alcune aree coinvolte nelle sue varie componenti sensitiva, cognitiva ed emotiva. In modo del tutto analogo, guardando ai meccanismi percettivi, emotivi e cognitivi in atto quando osserviamo e creiamo un’opera d’arte, si spiegano gli effetti attribuiti alla bellezza. Che si cerca di sfruttare non solo nei setting clinici a scopi medico-sanitari ma anche socioeducativi.
«La fruizione dell’arte attiva dinamiche che consentono l’accesso a dimensioni emotive e cognitive che estendono la percezione di noi e degli altri. Infatti, l’esperienza estetica è per sua natura sociale e non individuale, richiede la compresenza di un creatore, un osservatore, un artefatto e una narrazione del fruitore» spiega Ugo Morelli, docente a contratto di Scienze cognitive applicate presso l’Università Federico II di Napoli, che puntualizza come in questo modo si vada sempre oltre la dimensione individuale e si passi all’intersoggettività e alla conoscenza. Morelli è anche responsabile scientifico del progetto “Di Bellezza Si Vive“, per mettere la bellezza al centro di ogni azione educativa per contrastare (anche) la povertà educativa (qui un book interamente dedicato al progetto).
Nel suo ultimo libro Cosa significa essere umani?, scritto a quattro mani con il neuroscienziato Vittorio Gallese per Raffaello Cortina, si legge della bellezza che «da un’accezione che l’ha a lungo identificata con l’aspetto esteriore delle cose, si qualifica sempre più evidentemente come una risonanza particolarmente riuscita con gli altri e il mondo, tale da estendere le nostre possibilità e la nostra stessa sensibilità in modi e per vie che senza quella esperienza di risonanza non si verificherebbero».
L’esperienza della bellezza naturale, come quella biologica, e della bellezza artistica, quella dei manufatti, o della scienza, come quella matematica, e così via, è gratificante per tutti gli esseri umani. Coinvolge le aree preposte all’elaborazione degli stimoli percettivi, ma anche quelle della ricompensa, della gratificazione e quelle del pensiero introspettivo. «Tutto il sistema sensori-motorio dell’organismo» spiega Morelli «è coinvolto nella fruizione dell’opera d’arte, a partire dalla necessità di avvicinarsi e allontanarsi dal quadro», fino all’esperienze di emozioni, sentimenti e pensieri, secondo la cosiddetta cognizione incarnata o embodied cognition. Una visione disincarnata non esisterà dunque mai. Il corpo entra sempre in gioco. Lo confermano gli studi di neuroimmagine in cui si evidenzia nell’osservatore il coinvolgimento del sistema motorio. Nel caso di un quadro di Lucio Fontana – il primo studio di Gallese del 2012 è uno studio di Eeg e non di risonanza – le aree preposte all’azione come a simulare il gesto compiuto dall’artista di tagliare la tela. Proprio con queste indagini, poi, si cerca di capire quali tecniche o quali artisti riescano soltanto a evocare l’idea di movimento e quali comunichino invece la percezione sensoriale del movimento. Nel tentativo anche di rispondere alla grande domanda del perché certe opere colpiscono e altre lasciano indifferenti.
L’esperienza della bellezza, infatti, mantiene comunque un certo grado di soggettività, cui si aggiungono le naturali differenze individuali nell’esperienza e apprezzamento dell’arte. È confermato il ruolo delle conoscenze e competenze di ciascuno, del contesto di fruizione dell’opera e della familiarità con gli ambienti artistici e museali. Sapere conta eccome: chi è esperto sa dove e come guardare e le conoscenze pregresse influenzano emozioni provate e giudizio artistico. «La nostra fruizione dell’opera d’arte è certamente mediata cognitivamente: la qualità della nostra fruizione estetica è influenzata dalla nostra cultura e dai canoni estetici che la informano, dall’ambiente in cui siamo stati educati, dal grado di expertise e famigliarità che abbiamo nei confronti dell’opera di fronte a cui ci poniamo» si legge ancora in Cosa significa essere umani?.
Tutto questo sostiene il ricorso al bello in contesti educativi. Dove non si tratta di instillare conoscenza ma di accendere curiosità e attenzione, facendo leva su meccanismi tutt’altro che appresi. Sull’origine evolutiva delle pratiche artistiche, c’è chi ritiene infatti che la dimensione estetica dei fenomeni sia già in tutti noi. «Parliamo dell’antropologa americana Ellen Dissanayakeuna nella sua teoria della cosiddetta artification, definitiva come una predisposizione universale e ancestrale per il bello e il comportamento artistico che si riscontra già nel rapporto madre neonato» dice Morelli.
L’arte, dopotutto, è una creazione umana la cui produzione continua ininterrotta da 60mila anni. «Questo significa anche che ogni cosa o azione può essere riportata alla dimensione estetica, che non è apparenza, ma tensione verso la possibilità di migliorare e migliorarsi» commenta Morelli, ma anche che «l’esperienza estetica spontanea delle persone, degli adolescenti, dei bambini e delle bambine con cui lavoriamo può essere il punto di partenza da cui partire per cercare di intestare nella loro esperienza degli elementi che sono in grado di istituire una discontinuità e, quindi, una maggiore apertura verso se stessi e verso gli altri».
Quindi, davanti alla bellezza si è tutt’altro che passivi, ma le sue possibilità trasformative dipendono dalla nostra predisposizione. Attenzione a non liquidare l’esperienza estetica a scuola con l’imitazione degli artisti: «Non si tratta di creare l’ora di bellezza e, quindi, di educare all’estetica. Questo lo faceva già la storia dell’arte. Si tratta di creare un’estetica delle relazioni e, quindi, di usare la bellezza come via educativa, sia che io stia insegnando il teorema di Pitagora sia che io stia insegnando l’arte contemporanea. Abituare i giovani a riconoscere tutto ciò che può estendere le nostre possibilità, atteggiamento che ci rende umani» spiega Morelli «Per questo abbiamo bisogno di pensare fuori dall’ordinario. Ci può aiutare un noto aforisma di Paul Watzlawick: “Chiese lo sceicco al servo: vuoi andare dalla Mecca a Medina col cavallo o col cammello? Rispose il servo: vorrei discutere se andare o no dalla Mecca a Medina!”. Uscire dalla cornice è condizione indispensabile per pensare e agire verso un mondo vivibile e migliore».
La tensione estetica ci tira fuori dalla nostra particolare prospettiva. La questione educativa coinvolge grandi e piccini, attraverso la creatività che consente di cambiare in meglio noi e il mondo. «Noi tutti» conclude Morelli, «abbiamo la responsabilità enorme di fare in modo che le persone imparino come il Barone di Münchhausen a tirarsi su per il codino dalle sabbie mobili del conformismo».
Foto di Alina Grubnyak su Unsplash
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.