Non profit

La battaglia No Slot dell’Eco di Bergamo

L’intervista a Daniela Taiocchi e a Massimo Cincera, rispettivamente segretaria generale e amministratore delegato del gruppo editoriale Sesaab che controlla la testata bergamasca

di Simone Rho

Avviata nella primavera scorsa, la campagna “No Slot” dell’Eco di Bergamo è riuscita a dar vita a un rapporto virtuoso tra lettori e mondo dell’informazioni. Ogni giorno, sulla pagina “NoSlot” del quotidiano lombardo –  più di cinquantamila le copie vendute, oltre 130 anni di presenza sul territorio –, si dà conto dei locali che aderiscono all’iniziativa, dei sindaci e gli amministratori locali che si mostrano sensibili al problema, ma soprattutto si dà spazio a quei cittadini che, con lettere e mail chiedono di far sentire la propria voce sul tema dell’azzardo di massa. All’inizio, ad arrivare erano soprattutto storie di disperazione e di sofferenza familiare. Ma, dopo il racconto e la narrazione del dolore, si è passati a un altro piano: quello della mobilitazione contro una sofferenza sociale, generata dagli effetti perversi dell’azzardo, sempre più pervasiva e diffusa. Con un gesto di coraggio, in  un momento di crisi, l’Eco ha inoltre deciso di rinunciare agli introiti provenienti da inserzioni pubblicitarie legate al mondo del gioco e dell’azzardo in genere.

A questo riguardo abbiamo posto alcune domande  a Daniela Taiocchi e a Massimo Cincera, rispettivamente segretaria generale e amministratore delegato del gruppo editoriale Sesaab, che controlla l’Eco e altri sei quotidiani (La Provincia, La Provincia di Lecco, La Provincia di Sondrio, La Provincia di Varese e La Provincia di Como)

 

La campagna de L’Eco è partita da una precisa richiesta dei lettori o si è sviluppata in forma autonoma e poi ha riscontrato il consenso dei lettori stessi?
Daniela Taoiocchi
: Parte, in realtà, da molto più lontano. Parte da un preciso punto di vista della proprietà dell’Eco, che ricordiamo è della diocesi di Bergamo. La Chiesa ha una visione complessa della società, molto più complessa di quella che può avere un giornale e questo ci ha portati a interrogarci su fenomeni che sfuggono alla semplice dinamica della “notizia”. Se penso che ogni lunedì sera, al patronato San Vincenzo, don Davide Rota si trova a gestire incontri con 150 persone che tentano di uscire da questo male… Ecco, queste cose ci interrogano, come donne e uomini, prima che come giornalisti. Partendo da questa domanda – “perché”? – a livello editoriale abbiamo deciso sic et simpliciter di non raccogliere soldi da una parte, per doverli poi spendere dall’altra. A muoverci è una precisa idea della responsabilità e dell’uomo, ma anche una semplice constatazione di ordine economico. Oltre alla pubblicitò sul gioco d’azzardo L’Eco di Bergamo non dà spazio agli oroscopi, non abbiamo mai messo la pubblicità di incontri o agenzie matrimoniali o di incontri…. Al centro c’è appunto questa visione più complessa dell’uomo, delle debolezze e del fatto che la chiesa poi si trova a doverle raccogliere.

Il fatto che L’Eco di Bergamo, oltre a darne notizia, sia sceso nel territorio, intervenendo direttamente con un’opera di convincimento attimo presso bar e locali che ospitano slot machine è un fatto nuovo?
Daniela Taoiocchi:  Noi viviamo col territorio e sul territorio, non dobbiamo mai dimenticarcelo. Don Spada diceva spesso che se noi sbagliamo il nome di una persona che si è infortunata per la strada commettiamo un gravissimo errore, e la gente se ne accorge e ci corregge. I giornali nazionali possono essere imprecisi, commettere errori grossolani, ma la loro è una realtà lontana, la cui rappresentazione rimane confinata sulla carta. L’interazione del giornale locale con la realtà invece è molto più frequente. Non avviene tutti i giorni, ma questa campagna è qualcosa che ci accompagna dalle pagine del giornale fino alla realtà. Per quanto riguarda i bar, non siamo stati noi ad andare dai baristi, c sono venuti i baristi da noi, hanno preso le vetrofanie e ci hanno messo la faccia, si sono fatti fare la foto e sono finiti sul giornale. In tutto questo abbiamo lavorato con altre realtà, abbiamo preso parte alle iniziative “No Slot” a Pavia e intratteniamo  una relazione con il settimanale Vita, quindi con Riccardo Bonacina, con Giuseppe Frangi, ci ha facilitato lo scambio di contenuti e di linea strategica riguardo a questa campagna.

 

Il modello dell’Eco può essere considerato virtuoso?
Massimo Cincera
: È un modello che regge. Se hai un’idea di società, un’idea di persona, le porti avanti…. La parte dei giochi è una parte significativa, ma non determinante per le sorti di un giornale. Altrimenti tanti giornali salterebbero, perché tanti giornali non prendono la pubblicità dei giochi. Adesso dire quanto può valere la pubblicità dei giochi, sinceramente non lo so. Nel senso che non è una scelta che parte dall’aspetto economico, parte da un aspetto etico. Quindi diciamo, se i giochi non ci sono, non andiamo neanche a vedere cosa perdiamo, perché sarebbe meschina la cosa. Cioè, se perdiamo tanto, rivalutiamo la nostra scelta, se perdiamo poco va bene così. La cosa parte da una scelta etica: noi non li prendiamo, che sia tanto o che sia poco. Dalle richieste di pubblicità che abbiamo, da grandi player di giochi, tipo Lottomatica, Sisal, Casinò di Campione, fino a quelli di piccolo cabotaggio che sono le sale slot, secondo me è un ammontare di soldi significativo, perché le richieste sono tante.  Una valutazione non l’abbiamo fatta e non ci interessa neanche farla. Anche perché qualche anno fa, per un errore della concessionaria nazionale, è entrata la pubblicità di un gioco – non di slot, un gioco diverso- e i lettori de L’Eco hanno scritto centinaia di lettere contro questa scelta, quindi il lettore de L’Eco questa scelta la condivide al 100%, tornare indietro probabilmente economicamente avrebbe molte più complicazioni che andare avanti su questa strada, proprio perché non ti comprano più il giornale, perché non si riconoscono più in un giornale di quel tipo lì. Quindi il patto di non farlo è un patto tra editore e lettore, tutti e due concordano con questa scelta qui. Nel momento in cui tu non rispetti questo patto qui il rischio economico è più alto che rinunciare alla pubblicità. Il giornale è fatto di queste scelte, anche ciò che non c’è nel giornale è il giornale.

 

 

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.