Non profit
La battaglia di Don Mazzi
Dopo il disastro il fiume è «una fogna a cielo aperto. Non posso lasciare i miei ragazzi a respirare quell’aria»
Può sembrare una stranezza il fatto che la fondazione Exodus abbia promosso un convegno sul tema della biodiversità considerata dal punto di vista dei fiumi visti come i custodi della qualità ambientale. Ma non lo è se si considera che la Comunità di don Mazzi ha la sua casa all’interno del Parco Lambro, a due passi dal fiume omonimo protagonista nello scorso febbraio di uno dei più gravi eventi di inquinamento da idrocarburi mai avvenuto in Italia. E don Antonio Mazzi, intervenendo al convegno di questa mattina ha rimarcato il fatto che «il verde è educativo, fare un giro del parco vale 44 ore di psicoanalisi». Insomma, va benissimo parlare di difesa dell’ambiente di riqualificazione dell’habitat naturale, ma non bisogna mai dimenticare le persone e soprattutto occorre passare dalle parole ai fatti. «Non serve a niente che la Regione Lombardia abbia la normativa più avanzata in materia ambientale se a questa non seguono gesti concreti» .
E sono tanti i “gesti concreti” che ha in mente il fondatore di Exodus a partire dalla situazione che si sta vivendo alla Cascina Torretta, sede della comunità nel Parco Lambro di Milano. Dopo l’inquinamento del fiume è stata chiusa la roggia che corre dietro agli edifici della sede «una fogna a cielo aperto. Noi qui non possiamo tenere animali, mi misurano i centimetri delle camere da letto, dei bagni, della cucina, ma non possono fare niente per quella melma che c’è nella roggia e soprattutto non ci permettono di fare nulla… ma io non posso lasciare i miei ragazzi a respirare quell’aria lì. Ho chiesto a tutti e nessuno può fare nulla… prima o poi mi muoverò io…». È un fiume in piena don Mazzi che, con la sua abituale foga, non si preoccupa di provocare: «E che dire della polemica sterile sulle piante in piazza del Duomo? Perché non ci si preoccupa invece del fatto che l’80% delle piante del parco è malata? Eppure il parco è un ambiente educativo, pedagogico e terapeutico. Questo deve tornare a essere il parco delle scuole». L’ultimo accenno è per la Capanna dello Zio Tom, altra struttura immersa nel verde e da tempo inutilizzata, Don Mazzi l’aveva chiesta al sindaco Moratti per i ragazzi di Milano già alcuni mesi fa, si aspetta ancora il bando che il primo cittadino aveva annunciato per maggio. L’idea di don Antonio è quella di trasformarsi in un don Milani 2 «Ci voglio portare i ragazzi sbattuti fuori dalle scuole, lì potrebbero studiare e recuperare, questo in mezzo al verde e al parco è possibile».
Al convegno si è parlato di Lambro e di fiumi lombardi, del risanamento possibile e di progetti, delle ultime deliberazione regionali e di quanto anche il mondo del volontariato può fare. Si è ripercorsa la storia dell’urbanizzazione dei percorsi fluviali, di come il discorso vada affrontato globalmente e soprattutto del fatto che occorra superare le logiche territoriali puntando invece a ragionare per bacini come ha ricordato Dario Fossati, dirigente regionale per la tutela e valorizzazione del territorio «la Regione vuole riprendere il suo ruolo di ente per dettagliare le necessità e gli interventi nei sottobacini del Po e il Lambro sarà un bacino pilota». Mario Clerici, della Dg Ambiente energia e reti di Regione Lombardia, parlando dei fiumi Olona, Seveso e Lambro tutti immissari del Po (il 10% del territorio lombardo, dove vive il 50 per cento della popolazione regionale) ha sottolineato che «qui le politiche tradizionali hanno dimostrato tutta la loro inefficacia». La nuova strada sembrerebbe essere quella del “Contratto di fiume”, già sperimentato per Olona e Seveso e che ora sarà applicato al Lambro. Una sfida che il coordinatore tecnico del dipartimento di riqualificazione fluviale del Parco regionale della Valle del Lambro, Daniele Giuffré ha definito possibile, ma soprattutto che va vinta iniziando a responsabilizzare le comunità locali che insistono sul Lambro «per far sì che il fiume sia considerato accogliente». Nel corso del convegno hanno preso la parola anche il direttore dell’Ecomuseo Adda di Leonardo, Giuseppe Petruzzo, che ha illustrato la funzione dell’ecomuseo come modello di valorizzazione culturale del fiume, una realtà che nasce da un patto attraverso il quale una popolazione, una comunità si impegna a prendersi cura di un territorio. Un esempio di intervento del volontariato è quello che ha presentato Massimo Soldarini della Lipu che, al di là delle attività svolte dai volontari dell’associazione ambientalista durante l’emergenza del Lambro, ha illustrato l’iniziativa Adottalambro attraverso la quale i cittadini sono invitati ad adottare un km di fiume, fotografarla e contribuire alla realizzazione di un dossier ambientale. Da Saldarini anche l’invito a cambiare gli stili di vita, abbandonando le fonti fossili per poter migliorare la qualità della vita.
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