Mondo
La battaglia della plastica
È quella delle buste usate per la spesa. Che nessuno ricicla e che invadono città e campagne. Con conseguenze gravi per la salute, oltra al danno ambientale.
Li chiamano i fiori d?Africa. La strada che da Dakar porta a sud, verso la costa turistica del Senegal, ne è disseminata. Sono fiori a buon mercato, sottili buste di plastica di tutti i colori, che ricoprono il terreno ovunque. Persino ai piedi della famosa ?foresta dei baobab?, una suggestiva distesa di alberi contorti e centenari che si staglia contro il blu del cielo. In Africa, quello della plastica non è più solo un problema urbano. Le sottili bustine, seppure più rade, si trovano sparse anche nei villaggi, nei campi coltivati e nelle aree rurali a un centinaio di chilometri dalle grandi città. Sono diverse dalle buste che si usano in Europa al supermercato. Per lo più si tratta di sacchettini monodose, spesso appena sufficienti per contenere un paio di manghi o una ?porzione? d?acqua.
Dai sacchetti al riciclo
Nella città di Thiès, un?ottantina di chilometri da Dakar, a saperne di più è Valentina Torresani, ingegnere ambientale e cooperante dell?Lvia, un?organizzazione non governativa con sede a Cuneo, fra le prime ad aver messo mano, in Africa, a questo problema.
«In Senegal i sacchettini monodose si sono diffusi insieme a un?urbanizzazione accelerata», premette la Torresani, «ma hanno finito per invadere i campi coltivati, causando l?impoverimento del terreno. Le città, che si sono allargate, hanno caratteristiche miste fra l?urbano e il rurale: il bestiame pascola su prati coperti di plastica e gli animali ingeriscono i sacchetti».
In Senegal bancarelle e negozi consegnano la merce in piccole buste nere fatte con gli scarti del petrolio, molte delle quali vengono importate dai Paesi arabi. «La maggior parte della gente qui vive di piccola economia informale, senza un vero e proprio stipendio», spiega la cooperante dell?Lvia. «Per questo imperversano i sacchetti monodose. Capita che la gente vada al mercato con i soldi appena sufficienti alle provviste della giornata, persino l?acqua è razionata nei sacchetti».
La tecnologia viene da Sud
Dalla fine degli anni 90 Lvia sta portando avanti un programma di riciclo della plastica che ha conosciuto tre fasi e, di volta in volta, i finanziamenti di Unione europea, ministero Affari esteri e, per la città di Thiès, della Regione Lombardia. «Dopo una ricerca sul mercato della plastica abbiamo iniziato un?attività di recupero», racconta Valentina Torresani. «Un gruppo di persone di Thiès raccoglieva la plastica, che veniva portata al centro, lavata e sminuzzata e poi rivenduta a un?industria di Dakar che produceva nuovi oggetti in plastica riciclata».
Da un paio d?anni il progetto ha fatto un passo in più, producendo direttamente il macinato: «Ora ricaviamo 150 franchi cfa al chilogrammo invece dei 50 di partenza», dice la Torresani, mostrando il funzionamento dei macchinari che arrivano dal Kenya, una scelta non casuale: «Lì esperienze di riciclo sono già in corso e trasferire soluzioni dall?Africa all?Africa ci sembra più produttivo che importarle dal Nord del mondo».
Il centro di riciclo della plastica di Thiès è diventato una microimpresa gestita da una cooperativa in rosa: il Groupement de promotion féminine, di cui fanno parte 11 donne. Ma un problema c?è, e non è da poco: «La quantità di plastica che le ditte di Dakar possono assorbire è molto limitata. Stiamo cercando di puntare di più sul marketing, perché la domanda per ora è insufficiente a rendere il progetto davvero produttivo», spiega la Torresani.
In Ghana un?altra ong, il Cospe di Firenze, ha deciso di iniziare dalla sensibilizzazione. «La produzione dei rifiuti è un ciclo. Per questo il nostro progetto prevede di intervenire a più livelli, dalla formazione del personale nelle amministrazioni pubbliche all?educazione ambientale nelle scuole, fino alla raccolta della plastica attraverso comitati locali di quartiere», spiega al telefono Lara Panzani, responsabile in Ghana del progetto del Cospe. «Quello che manca qui è la consapevolezza del nesso fra rifiuti e problemi sanitari», sottolinea. «La prima causa di morte è la malaria e le numerose infezioni intestinali sono tutte di carattere ambientale».
Sul nesso è intervenuta di recente Waangari Maathai, viceministra del Kenya e premio Nobel per la pace nel 2004. Le buste di plastica sono un luogo di riproduzione per le zanzare malariche e contribuiscono a diffondere uno dei principali killer del continente. La soluzione? La Maathai ha sottolineato i vantaggi dei contenitori che la gente utilizzava prima della plastica, dai cesti tradizionali ai sacchetti in cotone. L?Autorità nazionale per la gestione dell?ambiente kenyota ha proposto di introdurre una tassa sulla plastica per incentivare la ricerca di alternative. Il ricavato potrebbe sostenere il riciclo dei rifiuti e progetti che coinvolgano le comunità. Ma a Nairobi quello dei rifiuti è un business, controllato dalla mafia locale.
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