Mi sono venuti i capelli bianchi da quando ho cominciato a occuparmi del nomenclatore tariffario degli ausili e delle protesi. Questo strumento obsoleto, che regolamenta autorizzazione, erogazione, fornitura e controllo degli ausili e delle protesi per le persone con disabilità, risale infatti a dieci anni fa, quando venne approvata l’ultima versione del documento, recepito dal Dm 332 del 27 agosto 1999. Il tariffario comprende tre allegati, complicati elenchi di oggetti prodotti in serie o personalizzati, definiti da codici corrispondenti alla classificazione Iso, finanziati dal Servizio sanitario nazionale.
La spesa pubblica per la qualità della vita delle persone con disabilità passa di qui. Basti pensare che nel tariffario di dieci anni fa non esistono ausili come i software e gli hardware per il computer. I non vedenti possono chiedere la barra braille, non la sintesi vocale. Ma al di là delle voci, è il meccanismo del nomenclatore che andrebbe riformato da parte di un governo che si dichiara pragmatico. Attualmente, infatti, l’iter burocratico di prescrizione, realizzazione, consegna e collaudo degli ausili è vessatorio per le aziende serie che vogliono fornire prodotti di qualità (non adeguatamente remunerati) e premia le aziende meno serie che lavorano su prodotti che rendono meglio, anche se inutili o non appropriati.
Sbloccare il nomenclatore tariffario significa favorire l’innovazione tecnologica, valorizzare le risorse delle persone con disabilità, dare ossigeno a un settore produttivo in cui il made in Italy sta soffrendo.
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