Famiglia

La Barchetta rossa e Zebra: «Con la tecnologia abbattiamo le distanze tra figli e genitori detenuti»

Come cambia la relazione tra un bambino e il genitore detenuto? Quali nuove paure e fragilità emergono con l’emergenza Covid19 e come si fa fronte a questa ennesima distanza? Il progetto "La Barchetta Rossa e la Zebra" nella Casa Circondariale Marassi di Genova, risponde a queste nuove fragilità promuovendo per i detenuti incontri via Skype con educatori, formatori ed assistenti sociali

di Redazione

Non hanno il telefono. E in questi mesi di emergenza mentre schizzavano i numeri delle persone contagiate dal Coronavirus, in loro schizzava anche la paura: “Come sta mio figlio? E mia moglie? O i miei familiari?”. E allo stesso tempo per chi stava fuori si faceva largo la stessa paura per quel padre, compagno e a sua volta figlio detenuto. L’emergenza Coronavirus è una paura condivisa, ci ha resi tutti più fragili. Ma sarebbe una bugia dire che è stata difficile per tutti allo stesso modo. Si dice che un bimbo con la mamma o il papà in carcere sia “un bimbo con un segreto”. Il genitore in prigione diventa, nelle parole del bambino, “malato”; “in viaggio”; “assente per lavoro”.

"La Barchetta rossa e la Zebra" è un progetto genovese di Rete che coinvolge il Privato Sociale e le Istituzioni Pubbliche ed è sviluppato in sinergia con l’Amministrazione penitenziaria locale e dell’esecuzione penale esterna e con il Comune di Genova. È finanziato dal Bando Prima Infanzia (0-6 anni) ed approvato dall’Impresa Sociale Con i Bambini.

Il Cerchio delle Relazioni è capofila del Progetto coordinato, in prima linea, dalle Associazioni territoriali genovesi del Terzo Settore: la Cooperativa Sociale Il Biscione, Veneranda Compagnia di Misericordia, il Centro Medico psicologico pedagogico LiberaMente, ARCI Genova e CEIS Genova. La Fondazione Francesca Rava N.P.H. Italia Onlus, a cui è stata affidata l’opera di riqualificazione delle aree dedicate all’incontro dei bambini con i genitori detenuti nelle due Case Circondariali, è partner e promotore del Progetto.

L’obiettivo della “Barchetta Rossa e la Zebra” è duplice: da una parte, favorire e rafforzare la relazione dei figli che hanno un genitore in carcere o sottoposto a misure penali alternative. Dall’altra, promuovere la cultura della centralità indiscussa del bambino che, improvvisamente, si trova a vivere in una dimensione adulta e critica come quella carceraria.

«In questo periodo di grave emergenza sanitaria e di distanza sociale», spiega Elisabetta Corbucci, coordinatrice Cerchio delle Relazioni, «la relazione tra figli e genitori detenuti è stata messa particolarmente a dura prova. Proprio in questo difficile scenario abbiamo scoperto e sperimentato, per la prima volta, l'importanza strategica della tecnologia quale mezzo essenziale per salvaguardare, mantenere e consolidare le relazioni. Paradossalmente, la distanza imposta dall'emergenza Covid-19, ha fatto provare anche agli operatori il disagio provocato dalla rarefazione dei contatti, dal non sapere, dall’incognita del futuro. Spero ci abbia reso operatori migliori».

Dopo una prima fase del Progetto che prevedeva la ristrutturazione di alcuni spazi, la seconda fase, dove i bimbi possono attendere il momento del colloquio in un ambiente bello, sereno, adatto alla loro esigenze, prima che scoppiasse l’emergenza era in atto una terza fase che fa da collante tra le prime due dove si sono organizzati dei momenti di formazione per i genitori detenuti, per gli assistenti sociali, e per la polizia penitenziaria per spiegare qual è la strada più idonea per entrare in relazione con i minori che vivono un momento delicato del loro percorso di crescita accentuato dall’assenza di uno o di entrambi i genitori.

Con il diffondersi del Coronavirus il progetto, pur andando avanti, ha dovuto rivedere le modalità di lavoro e far fronte a quelle nuove paure e fragilità che nelle carceri si sono amplificate. «Il momento della separazione», spiega Livia Botto coordinatrice del lavoro degli operatori, «è diventato ancora più pesante. Più drammatico. Il lavoro sui genitori mira proprio a rafforzare le competenze genitoriali "recluse" e a far chiarezza sulle zone d'ombra: "cosa penserà mio figlio di me? Sarò ancora autorevole? fin dove e cosa, posso raccontare a mio figlio?" Queste domande che ogni genitore si pone, se affrontate nella solitudine, generano una situazione di ansia che a sua volta è portata in sede di colloquio con i figli, innescando un ingorgo nella comunicazione che in molti casi viene poi interrotta dall'una o dall'altra parte. Il grande merito del progetto Barchetta nei confronti dei bambini, io credo, è quello di rimettere al centro il tema della cura, dell’attenzione e dell’ascolto dei bambini figli di detenuti. È un progetto di accoglienza in un luogo le cui inevitabili regole risultano respingenti e spaventose per i più piccoli».

L'emergenza Coronavirus tutto si è amplificato. «Già da prima quello che ogni genitore libero poteva fare (e spesso dava per scontato)», spiega Botto, «per il genitore detenuto è interdetto: sa che un figlio, per esempio, è malato, non può però sapere se è guarito o è peggiorato se non con la telefonata programmata o il colloquio, quindi possono passare giorni. Se, alla base, la capacità genitoriale del genitore recluso (al di là del comportamento deviante) è buona o anche molto buona, il carcere devasta la relazione innescando sentimenti di abbandono nel bambino e autocolpevolizzazione nell'adulto che spesso non vengono affrontati né tantomeno risolti. Nel caso di genitori fragili e poco "attrezzati" a crescere il proprio figlio, talvolta la carcerazione è l'evento che interrompe il rapporto. Il lavoro sull'adulto non è quindi finalizzato ad un generico benessere del genitore, ma fortemente incentrato a restituire al minore un genitore il più possibile capace di interloquire con lui».

«In questa emergenza», aggiunge Mariavittoria Rava, Presidente Fondazione Francesca Rava e Project Manager del Progetto, «La Barchetta rossa e la Zebra si è dimostrata, ancora una volta, un solido Progetto di Rete. Sin dalle prime ore del lockdown, infatti, i Partner si sono attivati in maniera tempestiva e concreta per consentire ai bambini e ai loro genitori detenuti di poter trovare soluzioni efficaci per restare in contatto e non vanificare il lavoro fatto sulla relazione genitoriale prima di questa grave emergenza».

Non si sono fermati né i colloqui né la formazione alla genitorialità «Nella Casa Circondariale Marassi», racconta Livia Botto, «abbiamo messo in piedi un sistema di incontri via Skype. Le modalità sono le stesse di quelle utilizzate prima dell’emergenza: incontri frequenti e approccio multidisciplinare, educatori, assistenti sociali, formatori. Solo tutto è stato spostato su una piattaforma digitale. C’è bisogno ancora di più di sostenere la genitorialità in questo momento così difficile sia per i detenuti che per i loro figli». Il progetto ad oggi ha aiutato circa 152 nuclei familiari e 145 minori (fascia 0-6). E nelle ultime settimane ha incrementato il suo impegno anche all’esterno delle carceri: «Sosteniamo anche le famiglie dei detenuti e i loro figli», spiega Botto. «In questi giorni però, insieme ai percorsi classici che stavamo seguendo, ci siamo accorti che sono necessari moltissimi interventi di tipo “pratico” come supportare la famiglia in tutti i passaggi burocratici per la richiesta di un sostegno economico di cui possono essere beneficiari».

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.