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La banalità del male potrebbe tornare. Ma si può fermare
"Il bene possibile", ultima opera letteraria del saggista Gabriele Nissim, è un inno all'impegno civile. Essere "Giusti nel proprio tempo" come l'antidoto all'odio che, ciclicamente, oscura la storia dell'umanità: ecco numerosi esempi di chi ha agito per l'umanità a ogni costo
Il libro più utile a capire il momento storico che l’Italia e buona parte del mondo sta vivendo. “Il bene possibile” (Utet 2018), del giornalista e storico Gabriele Nissim, entra nel pieno delle lacerazioni sociali in atto in questi anni e confeziona un’opera essenziale anche per trovare appigli necessari a ripartire. Ripartire, sì: perché nell’epoca del linguaggio d’odio, del riemergere di razzismi ed estremismi che gettano un velo cupo sul prossimo futuro (ultimo atto, la vittoria di Jair Bolsonaro in Brasile, ieri 28 ottobre 2018, stesso giorno in cui simpatizzanti del fascismo hanno commemorato a Predappio la Marcia su Roma del 1922), bisogna ripartire dagli esempi virtuosi della Storia. Persone che con il proprio coraggio civile si sono opposte a totalitarismi, rappresaglie, vendette, azioni terroristiche anche a costo di perderci la vita. Nissim scava nelle loro vite, ne argomenta le scelte illustrandone i benefici immediati o nel tempo.
Non sono ‘buone’ le persone ritratte ne “Il bene possibile”. Sono tanto giuste quanto fragili, a volte addirittura ambigue. Ovvero decidono a un certo punto di agire per il bene dell’umanità ma non nascondono un tornaconto personale. Nissim cita Giorgio Perlasca, “commerciante fascista che ha salvato gli ebrei a Budapest forse perché innamorato di una ragazza ungherese”, ma anche Etty Hillesum e Oskar Schindler. “Non c’è contrasto tra bene, ambiguità e fragilità, proprio perché il bene possibile non è opera di Dio, ma di un essere umano”, spiega. Ancora: “Se si enfatizzano solo esempi eccezionali di eroismo e si censurano le ambiguità e le contraddizioni dei migliori, allora si creano degli alibi per chi è rimasto indifferente”.
Perché è importante sottolineare l’umanità di chi compie azioni virtuose per la collettività? Perché l’emulazione in questo caso è auspicata, soprattutto di questi tempi. “Nulla è mai scontato, anche le più importanti conquiste democratiche. […] Lo aveva intuito Winston Spencer Churchill negli anni trenta, quando manifestò tutto il suo stupore di fronte alla crisi dell’Europa, prima che accadesse l’irreparabile”, riporta Nissim nel capitolo ‘Anticipare il bene’. Ed ecco le parole di Churchill: “Tutto ciò che ritenevo impossibile, e che ero stato educato a ritenere impossibile, ebbene tutto questo è accaduto”. Il meccanismo che rese possibile i genocidi “fu la disumanizzazione delle vittime da parte dei centri di potere e di tanti intellettuali dell’epoca. Se un essere umano veniva descritto come un elemento corrosivo, fino a diventare una larva e uno scarafaggio, come ci ha insegnato Primo Levi, allora diventava più facile anestetizzare le coscienze”, aggiunge l’autore de “Il bene possibile”, studioso dei totalitarismi con all’attivo altri libri tra cui “L’uomo che fermò Hitler” e “Una bambina contro Stalin”.
Anche oggi “avvertiamo i segnali di un nuovo possibile cambiamento dei valori. […] Basta vedere il modo con cui la gente si esprime su facebook”, continua Nissim, presidente dell'associazione Gariwo-Foresta dei Giusti, di cui pochi giorni fa è venuta a mancare per malattia la direttrice, Ulianova Radice. “I social network invece di aprirci al mondo sembrano diventare un luogo dove si insegna a odiare e a disprezzare”. E “i migranti che si muovono soltanto perché spinti dalle necessità diventano il capro espiatorio della nostra insicurezza. Per giustificare la necessità della chiusura, i muri contro l’emigrazione, ma nuova aggressività dei costumi morali si soffia sulla paura e sul vittimismo”. Come uscire da questa spirale che potrebbe riportarci nell’abisso della violenza sociale? Anticipando il bene, appunto. L’uomo giusto non è solo colui che non nuoce al prossimo, ma colui che decide “di agire in prima persona per aiutare il prossimo, correggendo con il suo comportamento esemplare le ingiustizie della società”. Essere giusti “significa assumere una responsabilità e dare l’esempio seminando il bene nella società”.
Dall’imperatore filosofo Marco Aurelio al giudice Moshe Bejksi, già direttore del Giardino dei Giusti di Gerusalemme; da Socrate al vicepresidente del Parlamento bulgato Dimitar Pesev; da William Shakespeare alla giornalista Milena Jesenska; ma anche Vaclav Havel, la stessa Etty Hillesum, fino ad Antoine Leiris, che ha perso la moglie nell’attentato terroristico al Bataclan di Parigi e ha scritto una lettera (“non avrete il mio odio”) che ha fatto il giro del mondo, ripresa anche dal compagno del poliziotto Etienne Cardiles, assassinato in un attentato successivo; fino a Lassana Bathily e Hamadi ben Abdesslem, che hanno salvato numerose persone a Parigi e al museo del Bardo a Tunisi e ai “Giusti musulmani” Faraaz Hussein, Salah Farah e Mu’ad al-Kasasbeh che hanno perso la vita con un’azione estrema di coraggio civile per l’umanità. Sono questi i protagonisti, raccontati nel dettaglio e con una prosa mai scontata, da Nissim nel suo libro. Indispensabile, oggi più che mai: “Ci vuole dunque perseveranza. […] L’esito di un comportamento morale non si misura dal successo politico immediato, ma dalle tracce che lascia nella coscienza del singolo e dai semi che lancia agli altri uomini”.
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