Mondo

La Aquarius, le ong e lo specchietto per le allodole

A 10 giorni dal salvataggio in mare arrivano a Valencia le 630 persone di 31 nazionalità diverse su cui l'intera Europa ha avuto gli occhi puntati. Nel frattempo 43 altri esseri umani si inabissano tra Spagna e Marocco, mentre l'Unione europea non trova soluzioni e permette la criminalizzazione della solidarietà

di Daniele Biella

La nave Aquarius, dell’ong Sos Mediterranéee con a bordo medici di Msf, e le altre due navi della Guardia costiera, tra cui la motonave Dattilo con a bordo medici del Cisom, Corpo italiano di soccorso dell’Ordine di Malta, sono arrivate a Valencia domenica 17 giugno con le 630 persone di 31 nazionalità diverse recuperate in mare ben dieci giorni prima. Tutto bene? Per loro, forse sì. Ma per capire quanto il fenomeno migratorio sia influenzato dalle (mancate) decisioni politiche, basta guardare poco più a Sud Ovest di Valencia, in particolare verso lo Stretto di Gibilterra: sono almeno 43 i dispersi, ovvero esseri umani annegati in mare che non avranno un funerale, di un naufragio avvenuto al largo delle coste del Marocco tra il 16 e il 17 giugno. “Abbiamo recuperato quattro sopravvissuti”, documenta Salvamento Marìtimo, la Guardia costiera spagnola, che solo nell’ultimo fine settimana ha tratto in salvo 1290 persone. Come spiega in questo tweet, che ribalta il leit motiv “in Spagna non arriva più nessuno”, una delle tante frasi di questi mesi schizofrenici in cui la partita sull’accoglienza si fa a colpi di slogan e sulla pelle dei migranti.

È la stessa Spagna che accoglie a Valencia i migranti con un “Benvenuti a casa vostra”, ma anche la stessa che da anni, con governi di tutti i colori, ha innalzato un truce reticolato – con le famigerate concertinas, lamette incastrate nelle reti metalliche – per non fare arrivare i migranti nelle due cittadine di Ceuta e Melilla, territori spagnoli in terra nordafricana. Il nuovissimo governo Sanchez ha accolto i migranti rifiutati dal tandem Salvini-Toninelli (rispettivamente ministro dell’Interno e dei Trasporti d’Italia) e nel frattempo, per bocca del neoministro dell’interno, Grande-Marlaska, toglierà le concertinas. Una svolta che rimette la Spagna al centro di quell’agone europeo in cui oggi anziché trovare soluzioni condivise ai fenomeni immigratori prevalgono egoismi anche solo nella mancanza di volontà (Spagna compresa) di redistrubuire i migranti arrivati sulle coste greche e italiche.

A questo agone si riferisce Sophie Beau, presidente di Sos Mediterranée, quando spiega che l’ong non smetterà di salvare vite, nonostante l’accidia dei governi europei e l’accanimento specifico di quello italiano – ora via Salvini, prima via Minniti – nel criminalizzare la solidarietà delle organizzazioni non governative. Divenute una sorta di specchietto per allodole (nessuna inchiesta finora ha certificato comportamenti illegali di chi salva vite in mare) anche attraverso una narrazione selettiva dove i salvataggi della Guardia costiera sono buoni e quelli delle ong no, seppur in fondo facciano la stessa cosa. E le navi umanitarie permettano che i costi dei recuperi in mare gravino meno sulle spalle dei contribuenti dato che le organizzazioni vivono di finanziamenti privati, rintracciabili grazie a bilanci pubblici. Ong e Guardia costiera che collaborano da anni in modo del tutto efficiente e trasparente, come Vita.it ha avuto modo di vedere direttamente, salendo sulla nave Aquarius nel settembre 2017 per documentare una missione e, in precedenza, imbarcandosi su navi di altre ong e di Marina militare (a proposito, se ai ministri Salvini e Toninelli serve una visione da vicino in materia, Vita.it è pronta). Tra l’altro, in queste ore e giorni in cui le ong sono state messe in croce, è rimasta sono la Guardia costiera ad attendere l’autorizzazione a fare sbarcare in Italia le persone recuperate da navi mercantili: sono 519, e una salma, in attesa di assegnazione porto. La notizia è di lunedì mattina 18 giugno 2018 poco prima delle 10, fonte ufficiale lo stesso ministero degli Interni.


Tornando allo sbarco di Valencia, c’è un aspetto che accomuna il viaggio – lungo e complicatosi per le cattive condizioni marine, ma fortunatamente senza casi medici gravi a bordo e con continui rifornimenti di cibo – delle tre navi: l’umanità a bordo, resa ancora più autentica, paradossalmente, dall’allungarsi del viaggio. Vita.it ha raggiunto i soccorritori dopo lo sbarco e i racconti sono unanimi. “La dottoressa Maria Rita Agliozzo e l’infermiera Marika Giustiniani, del team Cisom a bordo della nave Dattilo di Guardia costiera italiana, nei giorni di navigazione hanno potuto conoscere più da vicino le storie delle persone soccorse, in particolare i 60 adolescenti presenti, molti dell’Africa Subsahariana. Si sono raccontati, hanno stabilito una relazione, fino a chiamarsi per nome con rispetto reciproco”, spiega Letizia di Tommaso, portavoce del Corpo italiano di soccorso dell’Ordine di Malta, che collabora da anni a bordo delle navi istituzionali italiane. “In particolare hanno legato con due fratelli eritrei, lei di 15 anni lui di 17, che sono scappati da fame e dittatura e nonostante il periodo passato in Libia si sono dimostrati grati a chi li ha salvati senza avere perso il sorriso e la speranza per il futuro. Allo stesso modo, ha colpito loro il racconto di un ragazzo nigeriano che ha perso la madre in Libia in modo violento dopo che entrambi erano stati schiavizzati da criminali: ora vuole inserirsi bene in Europa per poi chiedere che lo possa raggiungere suo figlio, che è rimasto in Nigeria con il nonno”. Sono le storie, alla fine, che avvicinano persone di estrazione sociale e origine diversa. E provano ad allontanare xenofobia e chiusura verso il diverso. Le stesse storie che sia Msf, Medici senza frontiere sia Sos Mediterranée cercano di diffondere più possibile e con la massima trasparenza via social network, twitter in particolare (a questo link sono disponibili vari audio con i racconti a bordo dell’Aquarius).

“È stato uno sbarco liberatorio dopo le difficoltà del viaggio”. Vita.it raccoglie a caldo le parole di Alessandro Porro, volontario italiano originario dell’astigiano a bordo di Aquarius che durante tutta la traversata si è reso disponibile, compatibilmente con le operazioni di bordo, a raccontare quello che stava accadendo”. Arrivati in prossimità del porto di Valencia, ci hanno accolto navi della Guardia civile spagnola e del Salvamento (soccorso) marittimo, elicotteri della polizia, poi centinaia di persone allo sbarco (tra cui 400 mediatori culturali che si sono presentati volontariamente per aiutare nei primi momenti, ndr). La durata delle operazioni di sbarco è stata simile a quanto avviene in Italia, con procedure mediche e di identificazione: l’umore è rimasto sempre buono, anzi è stato più esteso il tempo per i saluti, con molti abbracci e pianti sia da parte dei soccorritori che dei salvati”. Ancora una volta, l’umanità. “Passare del tempo con le persone significa arrivare a un punto di svolta in cui smettono di essere meri numeri e crei con loro un rapporto di fiducia”, continua Porro. "Ora speriamo che il dispositivo di accoglienza spagnolo continui in modo positivo come ci è apparso in queste prime fasi e quindi non rimanga di facciata”.

I dubbi sul futuro di queste persone, così come di chiunque arrivi oggi in Europa, rimangono. La Spagna non è differente da altri luoghi: “siamo stati accoglienti a Valencia, è vero. Anche perché nessuno ha contrastato la decisione del nuovo presidente Sanchez di prendere queste persone dato che lasciarli alla deriva avrebbe significato trattarli da animali anziché da esseri umani”, ci spiega la giornalista spagnola Susana Campo che lavora per la testata nazionale La Razòn. “Siamo stati 600 oggi al porto tra giornalisti e cameraman, venuti anche da Cina e Giappone: bene la copertura mediatica, però ricordiamoci che poco più a sud proprio oggi sono morte delle persone in mare”, sottolinea. E anche dal punto di vista della seconda accoglienza, i distinguo sono importanti: “ho passato i giorni scorsi a intervistare le persone di Valencia, anche qui le persone chiedono che non vengano sottratte risorse alla popolazione locale per darle a chi arriva da altri Paesi”. La preoccupazione è la stessa che altrove. I Paesi di origine prevalenti sulla Aquarius sono stati Sudan Eritrea, Nigeria ed Algeria. “Le persone si rendono conto che a fianco di molti che fuggono da guerre e persecuzioni, molti altri migrano più per motivi economici: qui non giudicano sbagliata tale scelta, dato che da sempre l’uomo cerca di andare in un posto migliore. Solo si chiede all’Europa di gestire in modo più coordinato questi flussi”, spiega Campo. Una richiesta che torna sempre, in particolare da Spagna, Italia e Grecia, le nazioni di ingresso che si affacciano sul Mediterraneo. Così come si chiede in modo univoco che cessino i soprusi nei Paesi di transito, Libia in primis. A ricordarlo, alla fine della conferenza stampa del tardo pomeriggio che chiude i dieci giorni dell’odissea Aquarius, è David Beversluis, il medico di bordo di Msf: “Quante persone devono ancora morire prima che venga messa in atto una sana risposta umanitaria, prima che vengano presi in considerazione i motivi che spingono persone disperate dentro gommoni fatiscenti? Che tipo di società vogliamo essere? Vogliamo assistere svogliatamente inermi mentre le persone affogano, al freddo e sole nel mare, o vogliamo rispondere con un sistema efficace che garantisca alle persone la dignità e il rispetto che meritano? Come medico a bordo dell’Aquarius, considero un privilegio l’avere assistito queste 630 persone, infreddolite, affamate e stanche. Prendo la mia responsabilità seriamente e parlerò della loro umanità di fronte a governi cinici e ipocriti”.

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