Politica

L’11% di Tremonti taglia fuori i down

La percentuale minima per l'assegno passa dal 74 all'85

di Sara De Carli

Saranno loro assieme ai malati di cirrosi epatica, cecità monoculare, trapianto cardiaco, sordomutismo e malattie mentali a sopportare i tagli imposti dal superministro. Una scelta assurda, ma anche crudele. Come documentano gli esperti
I ciechi che guidano, ormai, hanno stancato. Un falso down, invece, quello sì che sarebbe clamoroso: uno che fosse riuscito ad alterare temporaneamente il proprio patrimonio cromosomico, giusto il tempo necessario a ingannare la commissione valutatrice. Forse il ministro Tremonti sta cercando quello, nella sua caccia al falso invalido. È assurdo, non c’è altra definizione. Eppure è l’unica cosa che spiega la scelta fatta da Tremonti nella manovra appena approvata: aumentare dal 74 all’85% la percentuale di invalidità necessaria per ottenere l’assegno mensile di invalidità civile. Alzare i requisiti così che sia più difficile barare, era l’idea, ma spulciando le tabelle del 1992 che fissano le percentuali di invalidità, si vede come in quella forbice di nove punti cadano in realtà patologie e menomazioni che pochissimo spazio lasciano alla simulazione.
La trisomia 21, innanzitutto, a cui è riconosciuta una percentuale di invalità del 75%. Idem per l’amputazione di un braccio, mentre quella della spalla vale 80. La tetraparesi con deficit di forza medio può valere da 71 a 80 punti, comunque al di sotto della nuova soglia, valida per chi si è presentato davanti a una commissione a partire dal 1° giugno. Stesso discorso anche per cirrosi epatica, cecità monoculare, trapianto cardiaco, sordomutismo e malattie mentali come la psicosi ossessiva, la sindrome schizofrenica correlata a disturbi del comportamento e la sindrome delirante cronica: tutti fermi sotto quota 80. Difficile anche contare sulla manica larga delle commissioni: il decreto stabilisce che il medico che attesta il falso dovrà risarcire allo Stato il danno patrimoniale.
«Si parla di falsi invalidi e si colpiscono i più deboli tra gli invalidi veri», dice Anna Contardi, presidente dell’Associazione italiana persone Down. «Già ieri c’era un’ingiustizia, nel senso che ad alcuni Down veniva riconosciuta un’invalidità del 100% e ad altri del 75%, perché senza un ritardo mentale grave: capirà con quanta discrezionalità. I Down fermi a quota 75% sono già nella situazione paradossale di avere più potenzialità sulla carta ma più difficoltà nella vita reale: dei 40mila Down d’Italia, solo il 10% lavora, così si lascia senza alcun reddito una buona fetta di persone». Stesso ragionamento per Leonardo Casati, presidente di ViviDown: «Mio figlio ha 16 anni e ancora non sa quantificare quanti sono cinque minuti, piuttosto che distinguere il valore dei soldi o mettere la giusta distanza con gli estranei. Quando arriveremo a 18 anni, potremmo non avere diritto all’assegno, utile per pagare una persona che lo affianchi. Non si tratta di rivedere il decreto, ma di capire una realtà che i politici neanche immaginano».
E se i sordi ritengono di essere scampati alla scure di Tremonti in virtù del fatto che la loro disabilità (e relativa pensione) è riconosciuta da una legge specifica, la 381/70, si lamenta della misura anche Ivan Gardini, presidente di EpaC onlus, che stima 330mila italiani con cirrosi epatica. In futuro via l’assegno anche per loro, o almeno per quanti hanno l’aggravante della ipertensione portale, «che è una fase avanzata, quella successiva porta alle liste d’attesa per il trapianto», precisa. Lavorare, in quelle condizioni, risulta difficilissimo, «a meno di avere grossi alleati tra colleghi e principali. Altrimenti, visto che a questa fase ci si arriva sui cinquant’anni, ti mettono in prepensionamento». Mentre Roberto Speziale, presidente di Anffas, sottolinea come la manovra «finisce con il penalizzare ulteriormente le persone con disabilità intellettiva e/o relazionale. È ormai improcrastinabile una seria revisione del sistema degli accertamenti dell’invalidità e delle tabelle relative, stabilita dalla legge 328 del 2000 ma mai attuata».
Revisione delle tabelle, anacronistiche e superate già prima di questo decreto: è la richiesta unanime delle associazioni. Con in testa Pietro Barbieri, presidente della Fish, che ricorda come «aspettiamo da anni l’introduzione della classificazione ICF, che dà una valutazione della disabilità non concentrata sulla patologia ma sull’insieme delle condizioni personali e ambientali». Con quella risparmi magari non ce ne sarebbero – «siamo già tra i Paesi con la spesa più bassa d’Europa, persino la Polonia sta meglio di noi», dice – «ma indubitabilmente la spesa sarebbe più equa. E di falsi invalidi non ce ne sarebbe uno».


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