Cultura

L’Islam in cerca di una sua Dc

L’impegno di sempre con i radicali, l’incarico di commissario Ue per gli aiuti umanitari, la profezia sull’Afghanistan, poi il “ritiro” al Cairo.

di Paolo Manzo

Da quando vive al Cairo per imparare cultura e lingua araba, l??alunna? Emma Bonino si diverte a smontare tutta una serie di stereotipi senza senso che noi occidentali, imperterriti, continuiamo a promulgare. Il principale di questi stereotipi è che bisogna sostenere i regimi moderati, altrimenti arrivano gli islamisti. «Invece», ?smonta? l?eurodeputata radicale, «se questi regimi non aprono al cambiamento, come la Tunisia che non autorizza né partiti né ong, l?unico posto dove la gente può essere anti regime senza finire in carcere continuerà a essere la moschea?». Quindi, alla fine, i cosiddetti Paesi moderati rischiano di crearseli da soli, gli islamisti. Vita: Onorevole Bonino, è passato un anno dalla guerra all?Iraq: l?attacco a Saddam ha cambiato qualcosa? Emma Bonino: Ha fatto esplodere le contraddizioni nel mondo arabo, dando voce a molte persone che prima vivevano alla stregua di carbonari. Il mondo arabo, oggi, è in completa ebollizione, e gente che non osava esprimersi prima, oggi scrive, parla e discute. Da questo punto di vista io, che vivo al Cairo da due anni, posso affermarlo con certezza: non c?è paragone rispetto alla paralisi di prima, quando dei carbonari, nascosti, mi avvicinavano di soppiatto. Dalla Conferenza di Sana?a sulla democrazia e i diritti umani, svoltasi nello Yemen a gennaio, in tutti i Paesi arabi non si parla d?altro che di riforme e cambiamenti. Forse per poi non fare nulla, per carità, però il tema dominante di oggi è questo. Vita: Come sono i rapporti tra mondo arabo e Occidente dopo la guerra all?Iraq? Bonino: Da dopo la guerra sono formalmente tesi. Le dichiarazioni dell?establishment di quasi tutti i Paesi arabi sono nervose. Lo slogan di questi giorni è: certo, noi abbiamo bisogno di riforme, di cambiamento, di democrazia, di aperture, ma non devono esserci imposte dall?esterno, devono essere fatte secondo i nostri ritmi? Detto questo, tutti vanno a Washington. Ci è appena andato il presidente tunisino Zen al-?Abedin Ben ?Ali; qui al Cairo si sta preparando il viaggio di Hosni Mubarak. Sa, molti di questi Paesi, tra cui l?Egitto, non sarebbero in grado di reggere economicamente senza un rapporto finanziario costante con gli Usa. Il 26 febbraio il presidente Mubarak ha dichiarato che l?Egitto ha un deficit di 140 miliardi di lire egiziane, ma ne ha solo 115. Vita: La tensione nei rapporti si spiega, secondo lei, solo con la guerra? Bonino: Credo che i Paesi arabi fossero abituati ad avere rapporti poco problematici con Europa e Usa. L?Occidente ha sostenuto questi regimi per trent?anni in modo acritico, senza colpo ferire. Adesso, improvvisamente, gli arabi reagiscono con nervosismo a che gli si dica: «Continuando così non andrete avanti, né possono continuare così le nostre relazioni». Terrorismo e immigrazione sono cose di cui sono consapevoli anche loro, e da tanto tempo. Solo che, ovviamente, il potere tende alla conservazione e non al cambiamento e noi non li abbiamo mai spinti a cambiare, questo è sicuro. Del resto, che abbiano bisogno di cambiamenti non glielo diciamo noi, ma i due rapporti Onu (del 2002 e del 2003) sullo sviluppo nel mondo arabo. Fatti da arabi di ogni estrazione – establishment, economisti, giuristi -, recitano in sintesi: «Noi, i 22 Paesi della Lega araba, siamo indietro; sotto tutti i punti di vista. Per tre ragioni sostanziali: la mancanza di good governance e democrazia, l?esclusione del 50% della popolazione, ossia le donne, dallo sviluppo dei Paesi, e un gap infinito dal punto di vista educativo e tecnologico». Queste cose se le sono dette loro, mica noi… Vita: A suo avviso, quale potrà essere in futuro il ruolo dell?Islam, dalla Mauritania al Pakistan? Bonino: Su questo tema c?è un grande dibattito ma, secondo me, l?Islam politico non ha più futuro, ammesso che l?abbia mai avuto. Il professor Gamal El Banna mi chiede sempre se esistono dei libri in inglese sulla Dc e su De Gasperi. Perché qui, la teoria di molti è: «Anche voi avete avuto partiti che si rifacevano a una religione, che però hanno accettato le regole della democrazia. Lo stesso potremmo fare noi». Vita: Rispondendo in televisione, da Bruno Vespa a Porta a Porta, al ministro Prestigiacomo, lei ha detto che non si dovrebbero fare accordi commerciali con regimi insostenibili. A chi si riferiva? Bonino: Al fatto che non vedo l?utilità di precipitarci da Gheddafi. Capisco il gas, non sono mica una sprovveduta, ma bisognerebbe andarci un po? più cauti. Va benissimo che lui rinunci alle armi di distruzione di massa, ammesso che le abbia mai avute, ma ciò non toglie che sia un dittatore, abbastanza terribile, da 40 anni. Quindi, fermiamoci un minuto o, per lo meno, facciamo un po? di pressione. Non dico che dobbiamo commerciare solo con i Paesi compiutamente democratici, anche perché se fosse così forse non commerceremmo neanche tra di noi, però il problema di dire «noi siamo molto interessati al gas, ma siamo anche interessati a una riva sud del Mediterraneo che sia più aperta e più democratica, e che si sviluppi economicamente. Semplicemente perché oggi voi siete 220 milioni di abitanti, con un tasso di crescita demografica al 2,7% e, quindi, sarete 400 milioni nella prossima generazione, con crescita economica zero, o negativa?». Ecco, io farei questo ragionamento. Vita: Andando al di là dell?etica? Bonino: Persino chi non crede ai diritti umani, come ci credo io, ma solo agli interessi economici, capisce che non abbiamo interesse a veder crescere al di là del ?lago Mediterraneo? 400 milioni di tizi senza prospettive economiche di una vita decente. E chi tira in ballo l?interesse di avere nell?immediato e per qualche anno del gas a prezzo competitivo, dovrebbe capire che di sicuro è più interessante economicamente sviluppare una regione al di là del lago, che non sia piena di gente incazzata, con la sola voglia di andarsene? Vita: Anche perché quelli, dopo che si sono incazzati, prendono una barca e vengono da noi. Vero onorevole? Bonino: Guardi, abbiamo oramai constatato che il sistema meno inefficace per promuovere lo sviluppo economico è quello dell?apertura democratica. Credo che, su questo, il contenuto del libro di Amartya Sen Lo sviluppo è libertà abbia fatto terra bruciata di tutte le teorie del ?gocciolamento?, in base alle quali dando un sacco di soldi ai dittatori qualcosa arriva anche alla povera gente. Ebbene, questa teoria, detta anche del dripping down, è fallita il giorno in cui è stata messa in pratica. Amartya Sen ci dice: «Anche per uno sviluppo economico sostenibile, il sistema politico meno inadeguato è quello democratico. Con tutte le libertà individuali». Quindi, promuovere democrazie e società aperte vuole dire promuovere sviluppo economico, significa preparare il terreno per rapporti migliori tra le due sponde del Mediterraneo. Vita: Cosa dovrebbe fare la Ue per promuovere un maggior rispetto dei diritti umani sull?altra sponda del Mediterraneo? Bonino: Jean Monet diceva che «niente si può fare senza le persone, ma niente dura senza le istituzioni». Io credo che ci sia bisogno di un commissario per il Mediterraneo, con le sue strutture, come abbiamo avuto un commissario per l?allargamento. La geografia non è un optional, e quindi avere le strutture per essere più attenti alle zone geografiche più vicine a noi, Mediterraneo e Balcani in testa, mi sembra essenziale. Inoltre, la Ue dovrebbe promuovere con più determinazione l?iniziativa della Community of democracies, che sembra un po? languire, e lavorare con molta determinazione alla creazione di ?caucus? democratici in ambito Onu, a cominciare dalla prossima riunione della Commissione dei diritti umani a Ginevra. Vita: E gli Stati Uniti, invece? Bonino: La lezione che Washington ha imparato negli ultimi anni è che a noi occidentali i dittatori piacciono tanto. Danno stabilità subito, il cosiddetto quick fix. In Africa l?Occidente ne ha inventato più di uno in funzione anticomunista: da Mobutu ad Amin Dada, a Bokassa. Io, invece, credo che Usa ed Europa debbano imparare che l?uomo forte non è una soluzione. Anche perché da una parte sono molto longevi, non muoiono mai, anche quando non se ne ha più bisogno e, secondariamente, il problema non è avere l?uomo forte, ma le istituzioni forti. Quindi, se smettessero di creare dittatori, Usa ed Europa farebbero un grande servizio all?umanità. Vita: Le sue sono critiche forti? Bonino: Il punto è che ci sono accordi d?associazione con molti di questi Paesi che prevedono la clausola del rispetto dei diritti civili, e contengono le procedure per arrivare sino all?interruzione dell?accordo. Ma noi non le applichiamo mai. Mai. Col risultato che non siamo credibili né con i democratici locali, che ci dicono «Ma voi avete veramente sempre e solo sostenuto, in modo acritico, i nostri regimi», né con gli stessi regimi, i quali sanno perfettamente che, anche se non adempiono agli impegni presi, gli accordi non li rompiamo mai. L?Occidente dovrebbe sostenere i gruppi e le organizzazioni che, in modo non violento, stanno portando avanti con moltissime difficoltà democrazia e libertà, perché lo slogan «Non più soldi ai dittatori», dovrebbe entrarci in testa, una volta per tutte. Potrebbe pure essere il titolo di quest?intervista… Vita: Lei è stata commissario per gli aiuti umanitari all?Ue. In tanti si ricordano ancora di lei. Cosa l?ha gratificata di più in quel periodo? Bonino: Molte cose. Anche avere dimostrato che noi radicali siamo classe di governo, se solo ne abbiamo una possibilità. Un giorno particolare è stato quello del premio Principe di Asturia, per motivi personali perché è venuta mia sorella con mia madre, che ha 80 anni, da Bra, dove sono nata, e perché la motivazione è stata proprio la «promozione dei diritti umani come strumento di preparazione a situazioni meno conflittuali». Mi emozionò e gratificò perché accettarono di non darlo solo a me, ma a un gruppo di donne che avevo segnalato io. Alcune sconosciute, che oggi stanno facendo dei lavori straordinari. Vita: Facciamo qualche nome? Bonino: Somaly Mam, una ragazza venduta schiava da bambina in Cambogia e che adesso sta realizzando dei progetti straordinari nel suo Paese, per salvare le bimbe dalla strada. Olayinka Koso-Thomas, da cui è iniziata la campagna contro le mutilazioni genitali femminili. La fotografia di noi sette con le mani alzate è una delle cose che mi emoziona di più. Vita: Cosa l?ha invece più frustrata di quell?esperienza? Bonino: Senza dubbio l?Afghanistan: ero riuscita a far scoppiare il bubbone, ne facemmo una campagna, l?8 marzo 1998 fu Un fiore per le donne di Kabul. Feci il giro di tutte le capitali, mandando un rapporto oltre che sulle donne violate anche sui campi di addestramento per terroristi, sulla droga… Ma non riuscii ad attirare l?attenzione su quel Paese. Poi esplose tutto e, per questo, la cosa mi ha frustrato ancor di più. Ma lo stesso è accaduto a Srebrenica e in Africa, nella regione dei Grandi Laghi. Vita: A che punto siamo con il rispetto dei diritti delle donne nel mondo arabo? Bonino: All?inizio. Ma teniamo conto che l?Italia ha esteso il diritto di voto alle donne nel 1946? Questi sono Paesi che hanno perso due generazioni su questo tema, ma che oggi sono in movimento. Se io guardo ad Amal Basha in Yemen, ad Asma Khader in Giordania, a Moushira Khattab in Egitto, alla ministra della Sanità del Kenya, Charity Ngilu, mi sembrano donne in movimento. A volte mi emoziono, anche perché mi fanno ricordare la situazione che c?era da noi in Italia negli anni 70. Vita: Che ne pensa della nomina di Louise Arbour all?Alto commissariato per i diritti umani dell?Onu? Bonino: Conosco Louise da sempre, siamo colleghe nel board dell?International crisis group, ne ho grandissima stima. È stata un eccellente procuratore della Corte speciale dell?Aja sull?ex Jugoslavia e quindi non solo le faccio i miei più grandi auguri, ma, sapendo il compito difficile che ha di fronte, le ho già detto che può contare sul mio sostegno.


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