Formazione

L’Iraq muore, vi interessa?

«Basta con le sanzioni. «Le Nazioni Unite devono rimediare agli errori commessi».

di Gabriella Meroni

La notizia delle sue dimissioni ha scosso il mondo, un po? meno la distratta Italia. Il capo della missione umanitaria Onu in Iraq (Unhoci), Hans von Sponeck, ha lasciato l?11 febbraio la poltrona più scomoda del pianeta. Nel settembre 1998 si era dimesso il suo predecessore, Denis Halliday, per lo stesso motivo: la protesta contro l?embargo che sta uccidendo il Paese. In Iraq l?embargo ha fatto oltre un milione di vittime. Per questo l?Onu nel 1996 ideò il programma ?Oil for food? (vedi box) che consente all?Iraq di vendere petrolio in cambio di aiuti umanitari. Ma a dicembre una nuova risoluzione (la 1284) cambia le carte in tavola, legando il prosieguo degli aiuti a più frequenti ispezioni agli armamenti iracheni. In pratica, cibo sì ma solo in cambio di un disarmo totale alle condizioni occidentali. E il conte von Sponeck,tedesco, 60 anni, sposato con tre figli, diplomatico di lungo corso, l?uomo che il patriarca di Babilonia Raphael Bidawid definisce ?il più onesto dell?Onu? non ci sta più, e se ne va sbattendo la porta. Tre giorni dopo, la collega Jutta Burghardt, altra funzionaria delle Nazioni Unite a capo del Programma alimentare mondiale in Iraq, lo imita dichiarando: «Qui la gente muore e i piani occidentali non funzionano. Non sarò complice di questo massacro». Von Sponeck è scomodo, lo è sempre stato: quando Clinton, nel ?98, in pieno rischio impeachment per l?affaire Lewinsky, dà l?ordine di bombardare diverse città irachene, lui denuncia: «Le morti di civili sono state centinaia». In questa intervista, concessa da Baghdad a mezzanotte dopo una giornata convulsa, ci spiega perché non ha rinunciato alla sua fama. Signor von Sponeck, a ottobre lei aveva accettato di dirigere la missione Onu in Iraq per un altro anno. Cosa ha fatto scattare in lei la molla delle dimissioni? Non potevo più sopportare che il mio nome fosse associato a un programma umanitario impotente. Mi sento un cerotto su una ferita incurabile, e me ne vado perché il mondo capisca che l?Iraq sta morendo. La risoluzione 1284 è stata l?ultima goccia: trovo irresponsabile dopo quasi 10 anni di sanzioni durissime legare i programmi umanitari alla discussione politica sul disarmo. Lei ha lottato per questo popolo, ottenendo anche qualche risultato come l?aumento di 50 calorie nella razione di cibo quotidiana pro capite. Qual è la situazione in Iraq oggi? Pessima. Manca il cibo e mancano le medicine, il sistema sanitario è al collasso, quello scolastico praticamente non esiste più. Un bambino su 5 è malnutrito. La mortalità sotto i 5 anni è più che raddoppiata dal 1991, passando dal 56 per mille al 131. I disturbi mentali tra i ragazzi con meno di 14 anni sono in preoccupante aumento. Il tessuto sociale iracheno, tutte le infrastrutture sono distrutte. E i danni ?invisibili? sono peggiori di quelli visibili, anche se se ne parla molto meno. A che cosa si riferisce? Penso ai giovani. L?articolo 26 della Dichiarazione dei diritti dell?uomo sancisce il diritto allo sviluppo pieno della propria personalità: ora, come è possibile che questi ragazzi che vivono sotto sanzioni e sono puniti per un male che non hanno commesso, diventino persone compiute, cittadini responsabili? Non hanno mai letto un giornale o un buon libro, non vedono la tv, non sanno cos?è Internet. Non hanno idea di come vivano i loro coetanei in Italia, in Francia o in Germania. Crescono come su un?isola deserta. Ma il problema non sono solo i giovani. In Iraq un tempo c?era una classe media forte e intellettualmente vivace che oggi è scomparsa: molti se ne sono andati, altri sono morti, altri costretti non esercitare le professioni per cui hanno studiato. Al loro posto si è installata una classe parassitaria, che gode del sistema di restrizioni, e sfrutta la situazione a proprio vantaggio con la delinquenza e il contrabbando, mentre la disoccupazione è al 75%. Ecco come si distrugge un paese. Quali misure dovrebbero essere prese per cambiare le cose? Prima di tutto si devono eliminare subito le sanzioni e permettere libere importazioni dei generi necessari ai civili, come il materiale sanitario e gli articoli per l?agricoltura. Certo un sistema di monitoraggio deve essere mantenuto, ma non a svantaggio della popolazione. Dopo le sue dimissioni crede la che fine dell?embargo sia più vicina o no? La mia decisione ha provocato una reazione enorme in tutto il mondo e una mobilitazione molto forte degli organismi della società civile. C?è stata un?improvvisa ondata di consapevolezza e di sdegno che mi lascia ben sperare sulla possibilità che si riapra una discussione seria sulle sanzioni e in special modo sulla risoluzione 1284. Qual è oggi l?atteggiamento delle Nazioni Unite nei suoi confronti? Direi che mi considerano un collega… piuttosto imbarazzante. Io ho molto rispetto per il Segretario generale Kofi Annan, che mi ha sempre onorato della sua fiducia. So di non averlo messo in una posizione facile. Gli Stati Uniti sono molto irritati. Ma sono convinto che se c?è vera abilità politica i paesi favorevoli all?embargo riconosceranno che la risoluzione 1284 è stata un errore e vi porranno rimedio. Secondo lei la società civile, i cittadini e le loro organizzazioni possono aiutare l?Iraq in qualche modo? Lo spero. Spero con tutto il cuore che ogni europeo responsabile sfidi il proprio governo a prendere sul serio ciò che sta accadendo qui. Io e Jutta non ci siamo dimessi per smania di protagonismo: queste sono cose troppo serie. Dietro ogni singola sanzione ci sono le vite di 22 milioni di iracheni. Credo che ciascuno di noi abbia una responsabilità precisa: dire finalmente che ciò che sembrava una giusta reazione contro la dittatura nel 1991 oggi si è rivelato un errore. Abbiamo sbagliato bersaglio: volevamo colpire il dittatore, abbiamo colpito la gente innocente. È ora di voltare pagina. Signor von Sponeck, lei rimarrà a Baghdad fino al 31 marzo. E poi? I turchi dicono che quando un uomo va in pensione diventa il pascià di casa sua. Be?, per me sarà diverso. Voglio viaggiare per l?Europa raccontando la mia esperienza qui. Sperando di far riflettere qualcuno e forse di evitare che altre persone nel mondo muoiano d?embargo. Cos?è Oil for food Il piano ?Oil for food?, varato dall?Onu nel ?96, consente all?Iraq sotto embargo di vendere petrolio utilizzando il ricavato per l?acquisto di cibo e altri generi di prima necessità. Ecco come funziona: i proventi della vendita di petrolio non vengono incamerati dall?Iraq, ma depositati a New York su un conto della Banca Nazionale di Parigi. Il 34% della somma è subito destinato al Kuwait per ripagare i danni di guerra, un altro 13% va al Kurdistan iracheno. Il restante 53% può essere utilizzato dall?Iraq, che invia alle Nazioni Unite una lista degli articoli da acquistare. Qui il Comitato 661, composto dai rappresentanti dei15 paesi del Consiglio di Sicurezza, esamina le richieste approvandole o respingendole. Per i generi approvati si cerca un fornitore e si stipula il contratto; poi la merce viene spedita in Iraq. Qui c?è un?agenzia, la Cotecna, che riceve il carico e ne conferma l?arrivo: solo a questo punto la Banca paga il fornitore. Finora il 22% dei contratti, per lo più riguardanti medicinali, è stato respinto dal Comitato 661. Per aiutare l?Iraq è in corso una campagna promossa dalla ong ?Un ponte per?, tel. 06.6780808, conto corrente postale 59927004.


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