Welfare
Linutile paga dei senza paga
Welfare Ultimi in Europa nel sistema sociale, anche il Reddito minimo di inserimento rischia il flop. Ecco perch
Italia cenerentola dell?assistenza, patria del welfare ingiusto e fanalino di coda dell?Europa sociale. Ma davvero serviva l?ultimo rapporto Eurostat sull?efficacia dei regimi di sicurezza sociale dell?Unione europea per accorgerci che viviamo nel Paese meno attento ai suoi poveri? No, certo. Ma i record negativi ricordatici da Bruxelles – in Italia solo il 17% dei cittadini vive in famiglie che beneficiano di sussidi sociali diversi dalle pensioni contro una media europea del 52 e i trasferimenti sociali riducono il livello di chi vive sotto la soglia della povertà solo di due punti, dal 21 al 19%- , hanno richiamato l?attenzione di ministri ed economisti sugli strumenti di lotta all?esclusione sociale con cui il Bel Paese intende affrontare il nuovo millennio. Primo fra tutti, quel Reddito minimo di inserimento che la ministra Livia Turco ha introdotto in Italia all?inizio dell?anno e la Finanziaria 2000 promuove da strumento ?in fase di sperimentazione? a sussidio sociale permanente da finanziare con i 1900 miliardi stanziati per il fondo della nuova legge sull?assistenza. Riuscirà il Reddito minimo, che nel resto d?Europa funziona da oltre sei anni, a garantirci le pari opportunità anche sociali di cui godono i cittadini degli altri Paesi?
Per scoprirlo ?Vita? ha tracciato un bilancio del suo primo anno di sperimentazione. Che riserva non poche sorprese: meno richieste di sostegno del previsto, assegni in media inferiori alle promesse, progetti di inserimento che lasciano a desiderare e qualche difficoltà organizzativa. Possibile? Sì. I dati raccolti da uno studio del settimanale della Cgil, Rassegna Sindacale, nei 39 Comuni (10 del Centro, 5 del Nord, 24 del Sud e delle isole) scelti dal Ministero della solidarietà sociale per testare e gestire i 112 miliardi stanziati per la sperimentazione parlano chiaro. Delle 50 mila famiglie che l?Istat stima vivano nei Comuni in cui si è svolta la sperimentazione, solo 44.507 hanno fatto domanda per beneficiare del reddito minimo: un trasferimento monetario integrativo del reddito da 500 a 1.800 mila mensili versato a chi si impegna a seguire programmi di reinserimento lavorativo e sociale. Benefici che, a quanto pare, interessano soprattutto il Sud. Dove le richieste sono state 41.032, quasi 4 mila più del previsto, e città come Napoli e Reggio Calabria, dove la sperimentazione era prevista solo per alcuni quartieri, hanno dovuto allargare la misura del Reddito minimo a tutto il territorio comunale. Solo 2.076 e 1.399 le richieste presentate al Centro e al Nord. Come a Massa Carrara e Cologno Monzese: su 1.869 domande attese a Massa ne sono state presentate appena 800; 147 moduli contro i 1.947 attesi, a Cologno.
E le sorprese non finiscono qui: a fronte di un?attenta selezione delle domande, solo il 56% accolte, si è registrato un importo medio degli assegni inferiore alle attese: 741 mila invece di 860 mila. Ma cos?è andato storto? Colpa dell?Istat che ha sbagliato le stime o dei Comuni che non offrono veri programmi di inserimento lavorativo o dei criteri di ammissibilità troppo rigidi? «Soprattutto dei criteri di ammissibilità che non tengono conto di fenomeni come il lavoro nero: non si concilia affatto con i programmi di reinserimento sociale e molte persone preferiscono non partecipare al programma piuttosto che lasciare un lavoro fisso, anche se irregolare», risponde il dottor Ficarra, responsabile del programma a Limbiate.
A zoppicare, per l?indagine Cgil, sono anche i programmi di reinserimento sociale. Che tutti i comuni tranne uno hanno sviluppato ma che solo raramente offrono vere opportunità di inserimento lavorativo. Soprattutto nei Comuni del Sud, che non di rado usano il budget per occupare temporaneamente giovani e adulti disoccupati nella manutenzione e vigilanza di edifici pubblici. Settori che di rado offrono opportunità lavorative di lunga durata o, se le offrono, è con stipendi inferiori all?assegno del Reddito. Un problema che Belgio, Danimarca, Germania, Francia, Irlanda e Paesi Bassi hanno risolto prevedendo periodi di transizione in cui tutto, o parte del Reddito minimo, può essere cumulato con il salario. Per fare del Reddito minimo uno strumento di lotta all?esclusione, insomma, forse faremmo bene a raffinarlo imparando dai nostri vicini che lo usano con successo.
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