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L’idea di Bertinotti per il congresso. Rifò rifondazione

Politica. Verso un partito dei no global?

di Ettore Colombo

Fausto Bertinotti, fresco reduce da Porto Alegre, ha lanciato due nuovi cavalli di battaglia. Uno, la vecchia idea di partito comunista, così com?è, non funziona più. Ergo, va buttata al macero (per la precisione: «La globalizzazione capitalistica spazza via tutto e aggrapparsi al vecchio non serve»). Due, il «movimento dei movimenti» pone due condizioni imprescindibili, al ?resto del mondo?: no al neoliberismo e no alla guerra. È sulla base di queste due parole d?ordine del segretario-leader che il partito della Rifondazione comunista affronterà il suo quinto (e forse ultimo) congresso. Si svolgerà a Roma, dal 4 al 7 di aprile prossimo e sarà sicuramente ?di Rifondazione?. Ma anche, forse, l?ultimo che vedrà celebrare la presenza organizzata di un partito ?comunista? in Italia. Addio a Lenin? Al di là della querelle sulla scomparsa del nome di Vladimir Ilic Ulianov (detto Lenin) nelle tesi e nello statuto del partito, il senso della svolta sta in quel «camminare domandando», come direbbe il subcomandante Marcos, che Rifondazione ha intrapreso: alleanza stretta e organica con i Social Forum e l?area della sinistra antagonista, anticapitalista, pacifista e ambientalista (Verdi compresi); rottura netta e radicale con il centrosinistra, almeno per com?è adesso; attenzione a tutto quello che si muove nella società e insofferenza per tutto quello che succede nei Palazzi. Centro e sinistra Ds (Cesare Salvi escluso?) compresi, vecchi saggi del manifesto pure (con loro Bertinotti è ai ferri corti, a partire da Rossana Rossanda e Luigi Pintor) per non dire di tutto quello che si traduce in una parola, riformismo, «sconfitto in tutto il mondo, mica solo in Italia», gongola Bertinotti. «L?Ulivo mondiale è morto», annuncia trionfale nel salotto tv di Vespa, «vivi e vegeti, invece, sono uomini e donne di Seattle, Genova e Porto Alegre». Chi ci sta, bene. Chi non ci sta, fatti suoi. Ma quale modello di sinistra sta cercando di costruire? Improvvisamente, l?estate scorsa, Fausto incontrò, sulla strada per Genova, Agnoletto e Casarini, Caruso e Bernocchi. Fu amore a prima vista: «Chi mi guarda capisce che non sono un Gandhi», disse prima del G8. «D?Alema e Veltroni sono schiavi delle politiche dell?Fmi», tuonò. Il rapporto, con gli esponenti di Attac come con quelli di Lilliput, con l?Arci come con le Acli, «con le tute bianche di Casarini come con i Cobas di Bernocchi, non era certo iniziato allora», spiega oggi, orgogliosamente, Beppe De Cristofaro, leader dei Giovani comunisti: «C?eravamo da prima. Venivamo da anni ed anni di incontri, cortei, assemblee, seminari. Dalle mobilitazioni della stessa Seattle e poi di Praga, di Nizza. Genova ne fu una naturale conseguenza». Certo è che, da allora, il rapporto non s?interruppe più. Dopo l?11 settembre Gli attentati dell?11 settembre e la guerra che ne seguì rafforzarono un legame che presto divenne molto di più che un??intesa cordiale? e che oggi è un vero e proprio «patto d?unità d?azione»: contro i bombardamenti Usa in Afghanistan, quest?inverno, in piazza c?era solo Rifondazione assieme no global. In cantiere, oggi, però, c?è qualcosa di più, un?alleanza vera e propria. C?è l?alleanza. Nel Pci di una volta sarebbe stata detta ?organica?, ma prefigura, prima o poi, una meta: la fusione vera e propria. Se questo poi voglia dire Agnoletto e Casarini candidati alle elezioni o che nascerà un nuovo partito o una ?nuova sinistra? si vedrà. Certo è che oggi, Bertinotti, e i suoi sono tornati a Porto Alegre, dove erano stati invitati già nel 2000, «unici italiani presenti, come delegazione ufficiale», ci tiene a precisare Graziella Mascia, deputato del Prc . Capofila di quella che viene considerata l?ala movimentista, a Porto Alegre Mascia era capodelegazione, la volta scorsa. «Questa volta, invece, eravamo in 20, i delegati ufficiali, ma del partito ne sono arrivati in tantissimi: deputati, dirigenti e semplici iscritti di base». E tutti uniti da un idem sentire: «No alle politiche neliberiste e no alla guerra duratura dell?Impero». E già, perché oggi, dentro il Prc, parlano così, con categorie mutuate dal pensiero di Toni Negri. La cui ultima fatica letteraria e filosofica, Impero (Rizzoli), non è solo il livre de chevet di Casarini, ma anche, appunto, di Bertinotti. Non che proprio tutti la pensino così, dentro il Prc. Eccezion fatta per l?ala cosiddetta trotzkista, i soliti bastian contrari che, capitanati dal duo Ferrando e Grisolia, presenteranno nei vari congressi locali, di circolo, di federazione e regionali, appena cominciati e che vedranno il loro apice tra febbraio e marzo, in previsione dell?assise nazionale di aprile, delle tesi «radicalmente alternative» a quelle della maggioranza bertinottiana, queste stesse vedranno fioccare molti e corposi emendamenti volti a «migliorare» la nuova linea imposta dal segretario. Gli orfani di Cossutta Non a caso, l?insofferenza più alta nei confronti della svolta che Bertinotti vuole imprimere al Prc si registra in quell?area che, in fondo, un po? si sente ancora orfana di Armando Cossutta, che del partito fu uno dei fondatori, nel lontano ?91 (assieme a Pettinari e alla Salvato, oggi nei Ds, e al primo segretario, Sergio Garavini, oggi morto: Bertinotti, all?epoca, nemmeno c?era) ma che dal partito se ne andò, sbattendo clamorosamente la porta, nel 1998, per fondare il Pdci e dopo aver cercato inutilmente di salvare il governo Prodi che Bertinotti contribuì ad affossare. Oggi l?area conta sul 30% del partito e fa capo al tesoriere nazionale, Claudio Grassi, ed è stata rafforzata da due acquisti recenti: il direttore di Liberazione, Alessandro Curzi, e la medaglia d?oro alla Resistenza Giovanni Pesce. Quattro gli emendamenti presentati: chiedono di non abbandonare la categoria leninista d?imperialismo per quella ?negriana? d?impero, di valorizzare la storia del Pci nel Novecento e non abbandonare la forma partito. Alfredo Novarini, responsabile lombardo degli enti locali, scherza: «Non vogliamo buttare nella discarica della storia il comunismo, ma fare raccolta differenziata?». Quelli del Leonka Il fatto è che la pratica politica di Rifondazione va, da tempo, ormai, in tutt?altra direzione: i casi dei rappresentanti dei centri sociali Daniele Farina (Leoncavallo) e Nunzio D?Erme (Corto Circuito), eletti rispettivamente nei consigli comunali di Milano e Roma da indipendenti, sono lì a dimostrarlo. Patrizia Sentinelli, responsabile per i rapporti con i movimenti, non ci vede nulla di strano: «Dobbiamo compiere, e questa volta per davvero, una svolta a sinistra. La forma partito non è in discussione, ma l?orizzonte sì. Noi del movimento siamo un pezzo decisivo. E il movimento chiede scelte nette, a livello internazionale, nazionale e locale. Io ho appoggiato le giunte Rutelli da segretario della Federazione romana, ed oggi appoggio Veltroni, in Campidoglio». Dubbi, contraddizioni, difficoltà di relazioni? Nessuna, spiega serena, gentile e pacata la Sentinelli, «ma un unico filo rosso comune dall?opposizione alla guerra, ai bilanci partecipativi nei comuni». Per il deputato Giovanni Russo Spena, invece, «il movimento è l?unico antidoto alla crisi della politica: può fermare il nuovo ordine mondiale maccartista». Russo Spena stava in Democrazia Proletaria. Il futuro del Prc? Si spera non una piccola grande Dp.


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