Famiglia

L’helper, una mano per uscire dal tunnel

Una nuova professione nel settore dell’auto-aiuto

di Carmen Morrone

«Chi dà aiuto in realtà ne riceve, e chi cerca di modificare una persona in realtà modifica se stesso». Questo il principio dell?helper therapy che fa da filo conduttore a tutta l?attività dell?helper, colui che sollecita, coordina e guida un gruppo di auto mutuo aiuto. Una professione nuova, senza ancora un riconoscimento ufficiale, ma che viene di fatto svolta in molte strutture pubbliche e private e in associazioni. Sono in corso studi e ricerche per capire l?entità del fenomeno, come spiega Diana Gallo, presidente dell?associazione L?alba di Pisa, che dal 1993 si occupa di self-help.

«Insieme alla Provincia di Pisa stiamo conducendo un?indagine per fotografare questo nuovo lavoro, che nel territorio toscano è molto radicato. Dai dati dovremmo anche sapere quante sono le persone che dopo aver frequentato i corsi di formazione vanno a svolgere questo lavoro».

Ma cosa fa un helper? «I gruppi di auto-mutuo-aiuto sono uno degli elementi portanti della cultura advocacy che si sta diffondendo in tutta Europa con l?approvazione e l?appoggio della Organizzazione mondiale della sanità. Rappresentano il passaggio a un nuovo approccio terapeutico basato sul fornire un potere maggiore all?utente e ai familiari nella gestione del disturbo, che può essere una dipendenza da droghe, alcol, gioco. Ci sono anche gruppi di auto-mutuo-aiuto di donne che hanno subito violenza, per malati, o per l?elaborazione del lutto. In un panorama in cui spesso parlare apertamente di malattie è un tabù, e la cultura imperante, familiare e sociale, è quella del pregiudizio e dell?ignoranza, il gruppo diventa uno spazio protetto. Nel gruppo l?helper promuove il dialogo, che è fatto di dichiarazioni e di ascolto». In questo modo i partecipanti ricevono e forniscono informazioni e consigli e quindi il sostegno per raggiungere un atteggiamento partecipativo nella cura; trovano strategie per adattarsi e migliorare la propria qualità della vita; migliorano la capacità di far fronte alle proprie responsabilità».

Ci sono due tipi di helper: l?ex utente e chi invece sceglie questo lavoro. «L?ex utente è colui che, guarito dalla malattia, intende e può – dopo la valutazione di esperti – mettere la sua esperienza di successo al servizio di persone che provano ancora quel determinato disagio». Ma helper può essere anche chi segue un preciso percorso formativo universitario. «Da qualche anno molte università propongono corsi di laurea e master relativi al counselling, di cui fa parte l?helper therapy».

Gli sbocchi lavorativi, come abbiamo detto, sono in strutture riabilitative; il contratto di lavoro è spesso firmato con una cooperativa sociale e la retribuzione netta al mese va dagli 800 ai mille euro.


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