Famiglia

L’Europa cade a Melilla

Ai poveri é rimasta una sola risorsa, quella della disperazione.

di Giuseppe Frangi

La fortezza scricchiola a Melilla, pochi chilometri ad est delle colonne d?Ercole. Centinaia di disperati hanno preso d?assalto quell?enclave spagnola in terra marocchina, cercando di aprirsi un varco nel doppio muro di filo spinato innalzato dalle autorità iberiche. Giorni prima la stessa scena si era vista a Ceuta, altra minuscola eredità coloniale che la Spagna ha preservato al di là dello stretto di Gibilterra. In quelle circostanze le cose erano finite anche peggio, perché alla fine cinque clandestini erano caduti sotto i colpi delle forze dell?ordine, non è chiaro se di Madrid o di Rabat. C?è un qualcosa di biblico in quel che è accaduto. Un?umanità disperata, avanguardia di una massa chissà quanto grande e chissà quanto pronta a seguirli, spinge cercando un po? di futuro. I muri traballano davanti a quella pressione e intanto la politica annaspa. Anche il flemmatico Zapatero, tanto liberale e permissivo nei confronti della società spagnola, cede al più bieco stile repressivo, con un mutamento genetico che solo il panico e l?impotenza davanti al problema possono spiegare. Ma la fortezza può pensare di reggere a queste spinte schierando i suoi fucili, togliendo lo sguardo da quello che c?è al di là dei suoi muri? Anche l?Italia ha le sue Melilla e le sue Ceuta. Solo che a Lampedusa, a Gela o sulle coste meridionali della Sicilia e della Calabria, l?assedio avviene goccia a goccia. Alcune di queste gocce vengono contate, altre, per fortuna loro, evadono la contabilità e quindi si dileguano nel territorio transitando dentro un?altra disperazione. Il ministro Pisanu ha dato i numeri di questa contabilità: 15.327 persone sbarcate nei primi nove mesi dell?anno, contro i 9mila dello scorso anno. Mentre ben 39mila i clandestini rintracciati e rimpatriati. Ma, ha ammesso con onestà Pisanu, i veri numeri tragici sono quelli si addensano al di là del mare. «La pressione emigratoria del Corno d?Africa e dall?Africa subsahariana cresce in modo impressionante, a causa delle carestie e dell?instabilità politica», ha detto. I poveri, sempre più poveri, sono alle porte della fortezza. è un?umanità che chiede una chance per vivere. E davanti alla quale non sono più sopportabili le diverse irresponsabilità: innanzitutto quella cinica di chi si illude di governare il fenomeno come si trattasse di una questione di ordine pubblico. E, sull?altra sponda, i malati di ideologia che si ostinano a non guardare in faccia la realtà, e nel comodo dei loro laboratori intellettuali si limitano a confezionare slogan. L?emergenza migrazione è la grande sfida su cui si misura il nostro accreditarci come ?civiltà?. Cioè la nostra capacità di immaginare un futuro che per essere un futuro credibile non può certamente esser nostro. Non si scappa da questa sfida. Che è una sfida di responsabilità, di solidarietà, ma anche di intelligenza e di capacità di visione. Giustamente Nichi Vendola ha detto che dobbiamo smettere di guardare a questi popoli come una minaccia e non come una risorsa. Ragionamento moralmente ineccepibile. Ma un po? irrealistico. La realtà tragica ci dice che oggi siamo un passo indietro. E che a quei popoli oggi è rimasta una sola risorsa, quella della disperazione. Una disperazione che non possiamo più eludere.


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