Cultura

L’età dello specchio

José Saramago, premio Nobel per la letteratura, parlando del suo nuovo romanzo ha trovato la metafora che definisce il nostro tempo. di Luca Volponi

di Redazione

La Storia ritorna. Bush, l?Iraq e la guerra in Medio Oriente si spiegano anche guardando dietro le nostre spalle, agli imperi coloniali, quelli dello scorso secolo e millennio. Non c?è nulla di nuovo sotto al sole, nulla di stupefacente e inventato, sempre la stessa pappa». José Saramago, recentemente invitato a Roma a parlare della sua ultima fatica letteraria, così esordisce riferendosi alla attuale congiuntura internazionale. Lo scrittore portoghese, premio Nobel per la letteratura, ha presentato il suo ultimo romanzo L?uomo duplicato (Einaudi, pp. 286, 16,50 euro), un?opera che gioca con la complicata tematica della clonazione, quella del doppio e del rapporto che il soggetto instaura con l?altro da sé, e si confronta con tutte le possibili implicazioni che da qui si possono spontaneamente sollevare.

Che idea si è fatto della situazione storica e politica dell?inizio del nuovo millennio?
Un? idea semplice, chiara come l?acqua sorgiva o come il sole che splende: dopo che il ventesimo secolo ha rinunciato agli imperi coloniali e li ha fatti cadere, con un gesto di saggio cinismo o raggiunta civiltà, il ventunesimo sta facendo tornare indietro l?orologio della Storia al diciannovesimo. E questo tempo nostro ripropone antichi e vetusti modelli di soggezione politica, come i governariati o i protettorati. Esattamente come sta accadendo in Iraq, secondo il volere anglo-americano. La dottrina della guerra preventiva non è altro che una scusa per attuare una politica di dominio globale che adesso è divenuto diretto, mentre nel passato la decenza e lo schacchiere internazionale si limitavano a suggerire di restare dietro le quinte e manovrare i fili della finanza internazionale o della moneta forte per imporre la propria volontà politica. E i terroristi non riescono a comprendere che stanno facendo il gioco dell?imperialismo statunitense, della loro ormai palesata volontà di potenza. O forse lo comprendono fin troppo bene e trovano la cosa, come dire, altamente ?remunerativa?.

Cosa intende quando parla di governariati?
Semplicemente che stiamo assistendo alla costruzione di un nuovo sistema colonialistico e nello stesso tempo alla nascita di un impero planetario. Gli Stati Uniti, infatti, non si accontentano di essere l?unica superpotenza mondiale; vogliono, con una logica colonialista, con la stessa logica colonialista di un secolo fa, sfruttare le risorse naturali del pianeta a proprio vantaggio e per i propri interessi. Inoltre, vogliono che le proprie frontiere siano il più lontano possibile da Washington, con l?intento di creare veri e propri ?continenti cuscinetto?, verso il Pacifico (leggasi Giappone e Cina) e verso l?Atlantico (leggasi Europa). E sfruttano la questione mediorientale per ridisegnare gli assetti geopolitici a proprio vantaggio. Che i confini degli Usa siano ben al di là di quelli disegnati dai due oceani è dimostrato dal fatto che non c?è alcuna base militare straniera nel territorio Usa, mentre in tutto il mondo ci sono basi militari americane. E sono lì non per proteggerci, ma per curare e per tutelare gli interessi degli Usa. Ovvio, no?

Sì, ma il colonialismo del terzo millennio riprende una tendenza in atto ormai da qualche decennio, non è certo una novità di adesso?
Sì, è vero. Da anni una delle teste di ponte americane in Medio Oriente è Israele ed è da anni che questa politica di nuova occupazione viene scientificamente applicata. I discutibili risultati di questa strategia sono sotto gli occhi di tutti, sparsi tra i corpi dilaniati delle vittime dei kamikaze di tutto il mondo. Oggi, dopo la guerra ai talebani, anche l?Afghanistan è nell?orbita economica americana e lo è, prima, in qualità di produttore di petrolio e poi di Paese situato strategicamente al centro dell?Oriente, guarda caso proprio sotto la Cina e il suo capitalismo selvaggio e di Stato. Per questo stesso motivo ci troviamo a fronteggiare la complicata e difficile questione dell?Iraq, dove sta nascendo un fondamentalismo sciita altrettanto pericoloso per la pace futura dell?intera area, mentre un altro produttore di petrolio vicino alla Cina, l?Uzbekistan, si sta avvicinando a passi veloci alle posizioni americane, senza farne nemmeno un mistero. E quando la Turchia sollevava dei dubbi sul concedere la disponibilità delle sue basi militari agli Usa, la Georgia si era già fatta avanti e si era dichiarata disposta a concedere qualsiasi cosa. Se non si capisce questo, che cos?altro si vuole di più per comprendere quello che sta succedendo al nostro bel mondo?

Parliamo del suo ultimo romanzo, L?uomo duplicato. Se dovesse descriverlo in due parole cosa direbbe?
Un professore di storia, depresso e solitario, scopre in un vecchio film un suo doppio. Sorpreso, indaga su quel sosia attore, lo trova e trovandolo fa i conti con se stesso. Vorrei precisare una cosa: mi è stata attribuita la dichiarazione secondo la quale a 80 anni avrei scoperto di avere un grande talento comico e vorrei che venisse scoperto anche dai miei lettori. Ebbene, io quella frase non l?ho mai detta. Forse nel mio libro c?è dell?ironia, quell?ironia simpatica propria della commedia all?italiana o della commedia antica, ma comicità no di certo. La comicità è cosa seria con cui non bisogna scherzare: la comicità è un?altra cosa.

E sul tema della clonazione, cosa ha da dire?
Ognuno faccia il proprio mestiere: lo scrittore scriva interpretando la realtà, il medico curi, il calciatore segni se è attaccante o pari se è portiere. È naturale poi che ognuno abbia sul mestiere dell?altro delle opinioni e che «homo sum: nihil humano alienum a me puto» (sono un uomo e tutto quello che è umano non mi è indifferente), come diceva qualcuno qualche millennio fa. Come scrittore non posso non considerare le aberrazioni della scienza come abomini assurdi, e tra di essi la clonazione degli esseri umani. Devo ammettere che ho preso però spunto dal tema della clonazione scrivendo questo romanzo. Se non si parlasse tanto di clonazione, forse, non mi sarebbe venuta questa idea. Ma il tema del doppio è antico come le pietre e io mi sento molto più prossimo a tanti letterati che ne hanno discusso in passato che ai demiurghi cagliostriani. E qui la lista si fa lunga, da Plauto (autore di Anfitrione) alla Commedia degli errori di Shakespeare, ai Due gemelli veneziani di Goldoni, all?Anfitrione di Kleist e tanti altri, Borges compreso.

Ma c?è solo la letteratura alle origini di quest?Uomo duplicato?
Naturalmente no. C?è qualcosa di più, certo. La pressione dell?immigrazione dal Sud del mondo, l?arrivo in Europa di tante migliaia di individui dall?Africa, dall?Asia, dai Balcani ci costringe a domandarci: «Chi è questo Altro, che arriva tutti i giorni?». Del resto, mentre ci si chiede chi è l?altro, non si può fare a meno di chiedersi ancora e sempre «Chi sono io?».

Inevitabile a questo punto chiedere «Chi è, dunque, Saramago?»
Chi sono io? Non lo so! Del resto non lo sapevano né Pirandello né Borges, né Pessoa, né Kafka. E non si tratta solo del dubbio, ma anche della molteplicità dell?essere. Della clonazione ontologica, se vuole.

Chi è il suo personaggio, questo professore di scuola media, solo, con un matrimonio fallito alle spalle di cui non ricorda quasi nulla, una madre che sta lontano, una relazione che, forse, vorrebbe interrompere; e perché si chiama Tertulliano Maximo Alfonso?
Quando comincio a scrivere, l?idea di un nuovo libro viene sempre da un titolo. Guardando dall?alto di un aereo le case di Brasilia, mi venne in mente Tutti nomi e da lì la storia dell?anagrafe, che li contiene tutti. Anche L?uomo duplicato è nato prima come titolo, poi tutto il resto. Tuttavia quando ho cominciato a scrivere non sapevo ancora il nome del protagonista. Mi è venuto osservando il suo carattere: il nome Tertulliano (il teologo del secondo secolo che diceva «Credo, quia absurdum») mi dava il senso della storia e un certo peso intellettuale. Ma poi ci sono gli altri due nomi, Alfonso e Maximo, nomi un po? fuori moda in Portogallo. Nel complesso un personaggio dall?aria un po? anticotta, un demodé à la page, nel senso che sta sulle pagine del mio libro.

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