La Finanziaria 2006 riserva un importante chiarimento riguardo all?esenzione dell?Ici sugli immobili usati dagli enti non profit (e come è noto dagli enti religiosi di tutte le confessioni riconosciute). Di chiarimento, infatti, si tratta e non di ?regalo? o di estensione dell?esenzione come troppa propaganda di parte ha fatto intendere. Nel disegno di legge di conversione (n. 3617) del decreto fiscale 203/05 collegato alla Finanziaria, all?articolo 7 del decreto è stato aggiunto un comma che mette fine a un?annosa disputa sui soggetti esentati dall?imposta comunale: esso dice che «l?esenzione disposta dall?articolo 7, comma 1, lettera i) del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, si intende applicabile alle attività indicate nella medesima lettera a prescindere dalla natura eventualmente commerciale delle stesse». Prima di chiarire cosa significhi questo passaggio, e che portata abbia per il non profit, facciamo un passo indietro. Il decreto sull?Ici del 1992 (voluto dal governo Amato) aveva esentato ufficialmente dal pagamento gli immobili utilizzati dagli enti pubblici o privati (salvo le società), destinati esclusivamente allo svolgimento di nove tipi di attività: assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative, sportive, di religione o di culto.
Questa esenzione ha poi incominciato ad essere alquanto controversa. Oltre alla diversa prassi adottata dai singoli Comuni, a livello generale il dubbio era sorto soprattutto per tutti i casi in cui gli enti non commerciali, pur svolgendo l?attività elencata, ne traevano profitto. Si pensi ai vari settori educativi (attività di doposcuola, asili gestiti da enti religiosi o associazioni), ricettivi (alberghi e ostelli), ricreativi (bar e spazi per il tempo libero), sanitari-assistenziali (ospizi e cliniche). Il punto di svolta al dibattito (e a diversi contenziosi processuali) lo diede, il 2 ottobre 2004, la Corte di Cassazione. Con una sentenza (la n. 4645) altrettanto controversa, la Suprema Corte, restringendo il campo delle esenzioni e stabilendo che solo le attività «meritevoli di un trattamento fiscale di favore», cioè quelle elencate dalla legge e svolte dagli enti secondo i propri fini istituzionali e modalità ?non commerciali? possono dirsi esenti dall?Ici. Ora, il governo interviene a chiarire una volta per tutte che, contrariamente a quanto stabilito dalla Cassazione, l?esenzione vale per tutti gli enti a prescindere dall?attività commerciale svolta nell?immobile.
Questo che significa in concreto per il terzo settore? «In base alla legge del 1992, che si è fondata su una qualificazione soggettiva, non si poteva dubitare del fatto che gli enti non commerciali, anche se svolgevano attività ?commerciale? in via accessoria, fossero comunque coperti dall?esenzione», commenta l?avvocato Massimo Landi, consulente per le Acli. Anche le Arci sono d?accordo: «Eravamo già fuori dall?Ici», commenta Giuliano Rossi. «Gli immobili di nostra proprietà adibiti alle finalità istituzionali dell?associazione sono già esenti al di là delle attività che in esse vengono svolte». Stessa situazione anche per le realtà non profit del settore sanitario-assistenziale: «Ad oggi la Lega del Filo d?oro, nel comune di Osimo, non paga l?Ici per tutti gli immobili che sta utilizzando», dice il segretario generale della Lega del Filo d?oro, Rossano Bartoli. «Se passerà questa interpretazione, avremo un?esenzione automatica anche negli altri comuni».
«Le associazioni sportive erano già esenti dall?Ici», conferma l?avvocato Francesco Tramaglino, del Centro sportivo italiano. «Certo, in questi anni, laddove l?immobile non era adibito all?attività istituzionale dell?associazione, ma piuttosto a deposito di attrezzi destinati alla vendita o a foresteria per i dirigenti o altro, l?Ici è stata regolarmente pagata». è ovvio che qualsiasi attività commerciale, per queste realtà, è fatta per recuperare risorse che vengono reinvestite per gli scopi sociali, non certo per lucrare. Non c?è nessun ?regalo? di esenzione, dunque, ma finalmente un po? di chiarezza.
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