Kinshasa, Kin per i suoi abitanti, somiglia a una perla preziosa talmente ricoperta di polvere che nessuno ne intravede più il valore. È una città enorme e piena di contraddizioni, che suscita emozioni difficili e le mescola in continuazione mentre percorri le sue strade.
Strade piene di buche e di sabbia, rumorose e colorate, disseminate di plastica, attraversate da furgoni arrugginiti e carichi di passeggeri fino all?inverosimile. Strade ai cui lati camminano uomini e donne con in testa pesanti fascine o cesti di manioca, sul viso disegnata la speranza di riuscire a vendere qualcosa e a cavarsela anche oggi in una città dove chi è fortunato e ha un lavoro guadagna 10 dollari al mese. Strade da cui spuntano, ovunque, bambini bellissimi che con uno sguardo ti raccontano la gioia dell?incontro e la povertà.
Le strade di Kin ti invitano ad andare oltre il primo sguardo che affonda nella miseria, e ti portano a gente stupenda, impastata di speranza e di perseveranza. Gente che non si rassegna a pensare solo a sé in una città dove l?arrangiarsi giorno per giorno è necessità. Come Germaine, studentessa universitaria che ha fondato Cafid, un centro per aiutare le ragazze madri a diventare autosufficienti, come JeanPaul che dedica tempo ed energie ai bambini del suo quartiere, come Nenette che non vuole cercare lavoro all?estero perché vuole contribuire a far rinascere il suo Paese.
Kinshasa ha ancora le cicatrici della dittatura, della guerra e dei saccheggi degli ultimi 50 anni. Ma in un vicolo Jean, bambino di strada che non ha nulla, mi offre il suo anello di ferro, perché io possa tornare in Italia con un regalo.
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