Sostenibilità

L’ambiente è vivo e ha a che fare col caos. Volete educare? Siate creativi, disordinati

Ogni sistema complesso, lasciato a sé, si evolve. È la legge dell’entropia. Ma oggi l’evoluzione è condizionata dall’intervento umano. Come cambiarlo in meglio?

di Redazione

C?è un famoso paradosso, di cui si trovano varie versioni. Quella autentica, del 1972, suona così: «Il battito d?ali di una farfalla in Brasile può provocare un tornado nel Texas?». L?autore è un meteorologo, Edward Lorenz, e l?affermazione non è poi così strana se si pensa che Lorenz vi era arrivato per caso, mentre cercava un modello semplificato dell?atmosfera, ripetendo una simulazione al computer con un arrotondamento di un decimillesimo dei dati immessi.
Quel decimillesimo di arrotondamento apparentemente ininfluente (un battito d?ali di farfalla) aveva fatto evolvere le condizioni meteorologiche simulate in modo diverso. Si tratta di un caso di dipendenza dalle condizioni iniziali: piccole differenze in entrata possono provocare enormi differenze in uscita. L?episodio serve a fare capire come sia impossibile fare predizioni per un sistema complesso, e fonda nientemeno che la teoria del caos. Cosa c?entra il battito d?ali della farfalla con l?educazione ambientale? C?entra perché l?educazione ambientale, avendo a che fare con l?ambiente, che è cosa complessa, ha a che fare con la complessità. L?educazione ambientale ha davanti a sé una sfida: usare metodi coerenti con i suoi assunti, e quindi puntare all?esperienza diretta, valorizzare le emozioni, cercare l?interattività, promuovere l?impegno e le azioni positive, avere come obiettivo il cambiamento reale dei comportamenti, il tutto in modo non predicatorio e senza divieti, ma costruendo convinzioni e consenso. Deve disseminare dubbi quando si preferiscono certezze, indurre al senso del limite e a un?umiltà di specie, quando l?umanità è nutrita da miti di potenza e di progresso. Deve fare capire la profonda unità e interdipendenza di quanto esiste al mondo, quando gli esseri umani tendono a sentirsi separati dalla natura. Deve fare capire quanto siano preziosi i beni comuni e i diritti delle generazioni future, e quando prevalgono invece l?accaparramento egoistico e una logica dell?effimero. È complessa, ad esempio, la legge dell?entropia, ovvero del disordine verso il quale, in base al secondo principio della termodinamica, ogni sistema complesso, lasciato a se stesso, tende a evolvere. Per ridurre l?entropia di un sistema occorre intervenire su di esso, fornendo energia. Questa proviene dal sole e dagli stock di combustibili fossili (carbone, petrolio, gas ecc.), ma l?ordine che si crea è sempre provvisorio. Un suolo coltivabile non è una struttura stabile e può perdere fertilità per cause naturali o umane.
L?umanità, quando sfrutta i suoli, brucia petrolio o carbone, distrugge foreste, consuma le materie prime, o inquina, accelera e accresce a dismisura l?entropia del sistema. Tutto quanto essa crea è fatto trasformando energia disponibile in energia non più utilizzabile e immettendo calore nell?ambiente, alterando la composizione e la temperatura dell?atmosfera e dell?acqua e quindi l?equilibrio climatico, trasformando materia in rifiuti, usando insomma risorse a bassa entropia e restituendo all?ambiente rifiuti ad alta entropia. L?energia e le risorse però si consumano e i rifiuti e gli inquinanti si accumulano: ecco perché la questione della protezione della natura non riguarda solo la popolazione attuale ma anche le generazioni future.
L?entropia è dunque una legge della natura: ma come farla diventare senso comune? E come far diventare senso comune che c?è un diritto inalienabile alla vita di tutti gli esseri viventi? Non a tutti succederà quanto capitò allo scrittore americano Aldo Leopold, che prima di capire che la natura è qualcosa di troppo complesso perché l?uomo possa pensare di ?gestirne? i processi, era un cacciatore. Un giorno Leopold vide «un feroce fuoco verde» spegnersi negli occhi di una lupa morente, come racconta in Thinking like a Mountain. «Mi resi conto allora, e non l?ho mai dimenticato, che c?era qualcosa di nuovo per me in quegli occhi, qualcosa che solo lei e la montagna sapevano. A quel tempo ero giovane e mi prudeva il dito sul grilletto; ma quando vidi spegnersi quel fuoco verde, sentii che né la lupa né la montagna condividevano quel punto di vista». Riuscirà l?educazione ambientale a farci pensare come una montagna?

di Mario Salomone
docente di Educazione ambientale università di Bergamo direttore mensile .eco

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