Cultura

L’altro salto di Fiona

Assistente di malati di Aids, attiva contro il degrado delle periferie, vicina agli immigrati. Prima di partire per Atene, la campionessa azzurra racconta la sua rincorsa più bella

di Giampaolo Cerri

Fiona May, stella italo-britannico-giamaicana, con i suoi salti ha conquistato l?Italia. Era diventata italiana da pochissimo tempo, a seguito del matrimonio con il saltatore con l?asta fiorentino Gianni Iapichino, quando due anni fa, a Goteborg, vinse i campionati mondiali di salto in lungo. Poi, l?anno scorso alle Olimpiadi di Atlanta, la medaglia d?argento, battuta solo da una chiacchierata nigeriana, al rientro nelle competizioni, dopo una lunga squalifica per doping. Ora è di nuovo tempo di mondiali: la settimana prossima Fiona difenderà ad Atene il suo titolo. È lei, l?italiana dalla pelle nera, la più grande speranza azzurra. Ma chi è davvero Fiona May? Dietro il talento sportivo e la bellezza caraibica, c?è anche una giovane donna, attenta alla realtà che la circonda, oltre che a cercare di saltare più di sette metri. E che ha imparato fin da piccola a capire il significato della parola solidarietà. Al telefono, dal centro tecnico di Formia, risponde in un simpaticissimo italiano frammisto di termini inglesi ed accenti fiorentini.

Fiona, l?abbiamo vista fare da testimonial alla campagna di raccolta fondi dell?Anlaids. Non sempre gli atleti sono così disponibili…
«Il dramma dell?Aids non può lasciare indifferenti. Mia madre, fino a pochi anni fa, era infermiera in un ospedale pediatrico inglese. Mi raccontava dei bambini che nascevano sieropositivi o che si ammalavano e la sua pena è diventata la mia. Quando mi hanno chiesto di partecipare a Bonsaids, la campagna di raccolta fondi, non ci ho pensato due volte a dir di sì».

E poi, negli anni scorsi, ha partecipato a manifestazioni sportive nel quartiere fiorentino delle Piagge, una periferia a rischio di degrado.
«L?impegno sociale mi ha sempre appassionato. Sono cresciuta in Inghilterra, dove per questi temi si fa un buon lavoro già nelle scuole. Ero una guida scout, d?estate andavo ad aiutare gli anziani, partecipavo al fundraising per grandi cause sociali. Il volontariato è stata una parte importante della mia vita e, oggi, sono felice di dare una mano, anche con la mia immagine. E poi…»

E poi?
«E poi noi atleti siamo come tutti gli altri! Non siamo robot, non siamo solo allenamento-gare-medaglie. Abbiamo anche noi dei sentimenti, delle emozioni. La sofferenza, il bisogno degli altri colpisce anche noi».

Fiona, lei crede al valore sociale dello sport, alle attività sportive come antidoto contro l?emarginazione, il disagio dei giovani?
Certo, ma credo soprattutto nello sport come strumento per abbattere le barriere: quando si fatica assieme, non ci sono razze, culture, colori della pelle, ideologie, che possano dividerci. Questo è il messaggio dello sport».

E in Italia, quanta strada si deve fare perché lo sport sia praticato di più, specialmente dai giovani, come accade all?estero?
«Bisogna partire dalle scuole, lo sport deve essere insegnato e praticato innanzitutto là. L?educazione può essere fondamentale per far conoscere tutte le discipline ai ragazzi. Certo il calcio è importante, ma tramite le scuole si può far capire che ci sono altri bellissimi sport. E magari chi non ha talento per fare il calciatore, potrebbe esser un grande saltatore in lungo. Insomma, mi piacerebbe non dover sentire le solite manifestazioni di stupore ad ogni olimpiade: toh, c?è anche l?atletica, o il canottaggio, o il tiro a volo. Bisogna poi dare più opportunità di praticare sport attraverso l?associazionismo, rendere lo sport più alla portata dei giovani».

Nella sua città di adozione, Firenze, lei è stata recentemente protagonista di una protesta clamorosa: ha rifiutato il Fiorino d?oro, il massimo riconoscimento cittadino, perché l?amministrazione non ha mantenuto la promessa di costruire impianti sportivi. Lo rifarebbe?
«Ormai non ci penso più, ma sono convinta di quello che ho fatto. Negli anni, a Firenze, sono arrivati risultati importanti dall?atletica e non solo grazie a me o mio marito. Anche la marciatrice Elisabetta Perrone, campionessa mondiale e olimpica, vive e si allena in città. Ogni volta, leggiamo e sentiamo di come tutti siano fieri di questi successi. Ma quando ricordiamo che non c?è una struttura al coperto per allenarsi, nessuno ci dà ascolto. Promesse molte, fatti pochi. E d?inverno allenarsi all?aperto, quando è freddo, non è sempre possibile. Non si può andare a svernare a Formia o a Modena… Un impianto del genere non servirebbe soltanto a chi gareggia ad alto livello, sarebbe utile anche per i giovani che vogliono fare atletica».

A proposito di Firenze, ha mai avuto problemi per il colore della sua pelle?
«Mai, né qui né altrove. Il razzismo c?è, è vero. Episodi come la morte di Torino sono scioccanti. Ma non c?è un posto dove il razzismo non esista. Tutti un po? lo siamo, anch?io. Succede quando non conosciamo bene le persone, la loro cultura, il loro modo di essere. In Italia, l?impatto con questi problemi è recente, la strada è lunga; col tempo sono convinta che le cose miglioreranno, che ci capiremo di più, imparando a rispettarci. Alla fine siamo uguali, abbiamo persino il sangue dello stesso colore, pensa te! Comunque in Italia c?è meno intolleranza di quanto non ce ne sia, ad esempio, in Inghilterra. Il fatto che ci siano atleti italiani con la pelle nera aiuterà sempre di più in questo cammino. Lo sport qui può fare grandi cose».

Sì, ma quando si sente poi parlare di doping, crolla tutto. Secondo lei ci sono ancora atleti ?dopati??
«La situazione è migliorata ma c?è sempre qualcosa in giro. Ne parliamo meno ma il problema rimane ancora. Forse perché le droghe sono più sofisticate ed i test troppo vecchi. Non ?beccano? più tanta gente come prima. Magari capita a gente che non ti saresti mai immaginato, come a certe lunghiste mie rivali che non avrei mai pensato fossero dopate».

In Grecia, il salto più bello?
«Vado ad Atene come un?atleta qualunque, non come campionessa in carica. A differenza degli altri anni ho potuto allenarmi regolarmente, senza problemi fisici. Ho fatto una buona preparazione. Comunque, ogni giorno ha una storia a sé. Speriamo…».

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.