Famiglia

L’Italia made in Romania

Su un lato della carreggiata viaggiavano i migranti con le valigie di cartone. Nella direzione opposta i camion che portavano a Bucarest i macchinari. Intervista ad Andrea Bajani.

di Irene Amodei

L' immigrazione è tema tabù per la nuova letteratura italiana. Con qualche eccezione. Come quella di Andrea Bajani. 33 anni, romano, trapiantato a Torino, oggi è uno degli autori più valorizzati dalla critica. L?ultimo suo romanzo, Se consideri le colpe, racconta la storia di un giovane, Lorenzo, che raggiunge Bucarest per assistere al funerale della madre che nella città si era trasferita ormai da anni, all?inseguimento di un sogno professionale e sentimentale. Il viaggio è per lui la finestra su un mondo colonizzato, diviso e ingiuriato, lo sguardo attonito su un paesaggio umano rassegnato, desolante ma anche commosso e solidale, cui fanno da controcanto sfumati e sofferti brandelli di ricordi infantili. Come ha scritto Franco Cordelli sul Corriere, «Se consideri le colpe di Andrea Bajani ha l?intensità, la purezza lirica, la bellezza di un?opera in cui l?autore abbia lasciato maturare poco a poco il proprio sentimento della vita o, di essa, la propria esperienza».
Vita: Se consideri le colpe. Innanzitutto perché il titolo di un salmo?
Andrea Bajani: Questo titolo me lo sono portato dietro a lungo. Per me in qualche modo significava dare una lettura laica di quel verso del De profundis. Viviamo in un?epoca che tende a risolvere le contraddizioni individuando colpevoli e capri espiatori, semplificando in modo ingannevole la complessità per mettersi dalla parte della ragione e sentirsi al sicuro. Credo che se si vogliono considerare le colpe, si dovrebbero prima indagare le ragioni profonde che stanno alla base dei comportamenti individuali e collettivi. Non è possibile liquidare Lula, la mamma del protagonista, semplicemente come una traditrice o una donna scellerata, così come non è possibile risolvere in un?assoluzione o in una condanna i comportamenti degli altri personaggi.
Vita: Nel romanzo s?intrecciano una storia personale di abbandono e di ricerca, e una epocale storia collettiva: l?imprenditore che delocalizza in Romania per far fortuna e, «nella direzione opposta», «una colonna lunga uguale» di romeni «lanciati come proiettili dall?altra parte del mondo» «per cercare l?occidente». Dal un lato «i camion stipati di macchinari», dall?altra «le valigie legate sul tetto di automobili e furgoni». Qual è l?esito di questo doppio esodo?
Bajani: Siamo abituati a considerare soltanto l?esodo di chi arriva da noi, in cerca di fortuna. Giornali e televisioni si compiacciono nel fornire rappresentazioni pietistico-paternalistiche di uomini e donne disperati che, con i mezzi più vari, tentano di raggiungere il nostro Paese. Gli immigrati appaiono come straccioni da cui pretendere un?integrazione istantanea. Non ci soffermiamo mai, però, a considerare i nostri esodi, il nostro andare a cercare ?fortuna? in altri Paesi, le nostre invasioni, né ci domandiamo se sia necessario integrarci, là dove arriviamo. I nostri viaggi sono sempre accompagnati da una retorica filantropica che parla di esportazione di benessere e civiltà. Ma come mai, dopo quasi vent?anni che ?esportiamo benessere?, i viaggi di chi cerca in Italia una vita più dignitosa non diminuiscono? Che tipo di benessere esportiamo?
Vita: Il ritratto delle aziende italiane trapiantate in Romania è impietoso. Un fare arrogante da dominatori, la «boria di chi è padrone due volte proprio perché è in terra straniera». Però anche «l?intensità dello sguardo di chi ricomincia qualcosa». Un tributo ai pionieri del XX secolo?
Bajani: Non direi un tributo. Ho tentato semplicemente di esercitare un po? di senso critico. Esistono prospettive alternative alla retorica trionfalistica di un Occidente culla della civiltà. Le imprese che trasferiscono la propria produzione nei Paesi in difficoltà lo fanno, nella maggior parte dei casi, spinte dal miraggio dei profitti. Non è un caso, infatti, che dopo l?ingresso in Europa della Romania e la conseguente crescita del costo del lavoro, in molti si siano spinti in zone ancora più ad est. Ma oltre a questi discorsi mi interessava anche indagare la psicologia di queste persone, che in qualche modo hanno scommesso tutto in cerca di un riscatto. Qualcuno ce l?ha fatta, qualcun altro, più improvvisato, si è fatto molto male.
Vita: Il palazzo di Ceausescu è reliquia di un passato «esibito a patto di non nominarlo» e di cui i rumeni «si vergognano di andare fieri». Cosa intende?
Bajani: Il palazzo di Ceausescu, che dicono si veda anche dalla Luna, troneggia al centro di Bucarest a segnare uno spartiacque tra passato e presente. C?è un passato che stenta a passare del tutto e un futuro, promesso da anni, che stenta ad arrivare nelle forme in cui è stato propagandato. Il palazzo è il simbolo di questa contraddizione e del modo in cui la società romena guarda al ?grande condottiero?: il peggior nemico e però, al tempo stesso, l?unica vera celebrità della Romania novecentesca.
Vita: Non sembra dare grandi speranze alla famiglia come nucleo d?intimità, complicità e affetti. La famiglia, nel suo libro, non fa che dissolversi, relegata quasi nello spazio della nostalgia. Ma allo stesso tempo sopravvivono, inaspettati, altri legami. Insoliti, informali.
Bajani: Che le famiglie si stiano progressivamente sfaldando è evidente da molti anni ormai. I legami si allentano, in parte anche a causa di quel ?presentismo? di cui parlavo poco sopra. Tutto ciò che è stabile viene presentato come anacronistico, fuori moda: lavoro, famiglie, politica. Tutto diviene suscettibile di ritrattazione. Io credo che questa sia fondamentalmente una questione morale. E credo che gli si possa contrapporre una morale della fiducia, dello stupore. È quello che ho cercato di fare nel libro dove i rapporti tra le persone, compresi quelli familiari, devono essere continuamente negoziati, ridefiniti. Per farli crescere più forti.

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