Famiglia

L’infibulazione si pratica anche in Italia

Sono trentamila nel nostro Paese e 130 milioni nel mondo, le donne che hanno subito mutilazioni genitali Una pratica dolorosa, che annulla il piacere sessuale

di Mariateresa Marino

T rentamila donne immigrate nel nostro Paese hanno subito mutilazioni genitali. Un dato sottostimato, poiché specchio di un fenomeno sotterraneo, almeno in Italia. Ed è probabile che queste pratiche vengano eseguite (clandestinamente) anche da noi. Di questo si è parlato nella giornata di studio organizzata alcuni giorni fa a Roma dai ministeri delle Pari Opportunità, della Solidarietà sociale e della Sanità. E fanno ancora più paura i numeri che si riferiscono al resto del mondo. Centotrenta milioni tra donne e bambine, con un picco del 98 per cento in Somalia e con percentuali altrettanto alte in molti paesi africani e arabi.
Di mutilazioni genitali femminili, condannate da tutti gli organismi umanitari internazionali, esistono tre tipi, in una scala che va dalla meno violenta alla più traumatica. Ma il significato rituale, cioè l?espressione del potere del maschio sulla donna e la garanzia della assoluta fedeltà della sposa, rimane lo stesso. La circoncisione consiste in un piccolo taglio sul prepuzio della clitoride. Nella clitoridectomia, invece, l?organo viene completamente tagliato insieme alle piccole labbra. Infine, la più dolorosa e mutilante, l?infibulazione o circoncisione faraonica. La donna infibulata subisce l?escissione totale di piccole e grandi labbra e la chiusura della vulva con metodi rudimentali.
Allo choc subito si aggiungono il dolore fisico che dura per settimane, le emorragie, le infezioni, i disturbi permanenti agli organi genitali, l?assoluta assenza di piacere, anzi il dolore continuo, durante i rapporti sessuali. Ma è possibile che operazioni del genere vengano praticate in ambulatori italiani, su richiesta delle donne? Il dottor Aldo Morrone, che da anni gestisce presso l?ospedale San Gallicano di Roma l?unico ambulatorio pubblico per l?assistenza sanitaria agli immigrati, non si sbilancia. «Ci capita spesso di visitare donne immigrate, che soffrono le conseguenze dell’infibulazione» afferma «ma non è mai accaduto che venisse richiesto a noi medici di praticarla. In ogni caso, il fenomeno nel nostro Paese esiste e va combattuto con l?unica arma efficace, cioè l?informazione corretta, come si fa per altre malattie sociali come l?Aids e l?epatite».

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