Formazione

L’infermiere finisce prima di iniziare.

Flop di iscrizioni ai nuovi corsi di laurea.

di Benedetta Verrini

Studiare da infermiere? Prendermi una laurea per andare a pulire padelle e rifare letti? No, grazie». Dev?essere stato questo il pensiero dominante tra i giovani che, a settembre, hanno tentato le preselezioni per accedere ai diplomi universitari dell?area sanitaria. Tra le tante possibilità di specializzazione, da fisioterapista a logopedista, il corso di laurea triennale per infermieri è stato letteralmente snobbato. Le cifre, rese note la scorsa settimana dalla Conferenza dei diplomi universitari, parlano chiaro: più di dieci ragazzi, in media, si sono contesi un posto per diventare fisioterapista, ma per il corso da infermiere questo rapporto è stato di 1 a 1, con un vero e proprio flop al Nord, dove sono rimasti scoperti oltre mille posti. E a Milano si parla già di emergenza, visto che nelle corsie mancano ottomila infermieri e le università non sono nemmeno riuscite a riempire i corsi: alla Statale ci sono state 515 domande per 600 posti, alla Bicocca appena 295 domande su 500 posti; solo il corso del San Raffaele, tra i più prestigiosi in Italia, è andato in pari con 72 domande per 60 posti. «Non sono dati confortanti, ma non c?è da stupirsi. Fare l?infermiere è un lavoro duro, che richiede un livello di motivazione molto forte e non è supportato da una situazione contrattuale appetibile» dice il professor Luigi Frati, presidente della Conferenza permanente delle classi di laurea delle professioni sanitarie. Eppure, obiettiamo, pochi mesi fa c?è stato il rinnovo del contratto del comparto sanitario, e per gli infermieri sono stati previsti aumenti e avanzamenti di carriera fino a incarichi dirigenziali. «È vero, ma siamo ancora lontani da quel livello di nursing, normale in tutti gli altri Paesi europei, in cui l?infermiere ha la gestione di un reparto e non se ne va certo in giro a portare le lastre» continua Frati. «Di fronte a una carriera con un appeal così scarso, è ovvio che i giovani si orientino verso specializzazioni più redditizie e gratificanti. Al Nord, poi, dove le possibilità di studio e di lavoro sono così tante, il corso di studi da infermiere diventa davvero l?ultima spiaggia». La questione è rimbalzata direttamente sul tavolo del ministro per la Salute, Girolamo Sirchia, che per rilanciare la professione e liberare gli infermieri da mansioni improprie ha proposto di organizzare corsi decentrati in tutte le città per mettere in campo gli operatori sociosanitari, veri e propri ausiliari degli infermieri professionisti. Sirchia ha anche prospettato al governo l?ipotesi di assumere negli ospedali infermieri come liberi professionisti, proprio come avviene per i medici. Fino a quando queste soluzioni non diventeranno praticabili, l?emergenza resta. In Lombardia il consiglio regionale ha approvato una mozione per chiedere l?intervento del governo. Il documento, presentato dal consigliere Stefano Galli (Lega), spiega che a Milano «il 60 per cento degli infermieri viene da fuori regione, e dopo poco più di un anno la maggior parte chiede il trasferimento nella propria». Al sud, infatti, gli aspiranti infermieri sono molti di più: «Dove le opportunità occupazionali sono inferiori, la carriera ospedaliera ha successo perché garantisce un posto sicuro» dice il dottor Angelo Mastrillo, consigliere della Conferenza nazionale dei diplomi universitari e curatore della ricerca. Una disfunzione prevedibile, che dovrebbe essere meglio programmata, secondo gli esperti, a livello ministeriale. «Sirchia si è anche impegnato, almeno per il prossimo anno accademico, ad effettuare una programmazione dei posti in modo più coerente con i bisogni espressi dalle Regioni» sottolinea Frati. Ma c?è anche chi teme che l?istituzione della laurea triennale abbia in qualche modo acuito il problema: non c?è rapporto tra il duro percorso di studio (che prevede un tirocinio in corsia ed esami di anatomia, farmacologia e biologia) e il lavoro che poi si andrà a svolgere. In altre parole, l?innalzamento delle competenze dei professionisti non va di pari passo con l?organizzazione del lavoro negli ospedali pubblici. «La qualificazione professionale è comunque un vantaggio» avverte il professor Giancarlo Cesana, presidente del corso di Diploma per infermiere dell?università Bicocca a Milano. «Il vero problema è che fare l?infermiere resta una missione, un mestiere che richiede un significativo livello di motivazione: questo aspetto si nota dagli stessi livelli di abbandono, che sono molto alti e si attestano sul 20-25 per cento». Esiste un?elevata quota di iscritti che hanno scelto il corso per ripiego e che dopo le prime difficoltà abbandona. Per questo, la programmazione dei posti è ancora più importante. «È vero, ma bisogna fare attenzione a non allargare il numero dei posti disponibili senza tener conto della capacità delle scuole di formare gli studenti», avverte Cesana. «Queste scuole sono state messe sotto l?egida dell?università, ma a costo zero: in pratica, le strutture e i docenti sono ancora di derivazione ospedaliera. Non si possono aumentare i posti messi a bando senza tenere conto che le infrastrutture sono quelle che sono, e vanno attrezzate».


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