Non profit

L’Europa del lavoro? Largo al non profit

«Altro che infermeria della pubblica amministrazione. In Germania, Francia, Inghilterra le imprese del Terzo settore hanno già vinto la sfida con il mercato». (ha collaborato G. Hesse-Indico3)

di Pierre Verbeeren

Un anno dopo lo stanziamento di 20 milioni di Ecu (quasi 40 miliardi di lire) voluto dal Parlamento europeo e dalla sua Commissione Occupazione e Affari sociali per capire, attraverso 50 progetti di ricerca e di sviluppo locale, il potenziale occupazionale del Terzo settore in Europa, ci si ritrova a Bruxelles per fare un primo bilancio in merito al ruolo che le organizzazioni del Terzo settore possono avere nella battaglia continentale contro la disoccupazione che interessa oltre 20 milioni di cittadini europei. Incontriamo Padraig Flynn, Commissario europeo per l?Occupazione e gli Affari sociali. Cinquantanove anni, tra i protagonisti del miracolo irlandese come ministro dell?Ambiente prima, e dell?Industria e del Commercio poi, della Repubblica di Irlanda. Flynn è membro della Commissione europea per l?Occupazione e gli affari sociali dal 1994. Il Terzo settore è spesso considerato come un?infermeria della Pubblica amministrazione, un settore che consente allo Stato di fare risparmi appaltando, al ribasso, servizi che non riesce più a fornire. È giusto secondo Lei? Sono totalmente contrario a questa definizione. Le ricerche sul Terzo settore hanno dimostrato che, fin dalla sua nascita negli anni Ottanta, la creazione di impiego nell?economia civile è stata molto più consistente e rapida che in quella di mercato, per non parlare dell?offerta pubblica di occupazione. Ciò vale soprattutto per la Germania, in cui la percentuale di occupazione offerta dal Terzo settore nel 1997 (11%) supera di gran lunga quella registrata dal mercato (3,7%). Sempre a quanto ci risulta nel ?97 il Terzo settore rappresenta il 29% dell?occupazione nei servizi sociali in Francia e il 23% in Germania. Ed è anche assolutamente falso che questi lavori siano mal pagati. È piuttosto vero che spesso i contratti sono a termine o part time. Ed è proprio su questi nuovi tipi di contratto che bisogna riflettere perché rappresentano una parte importante del mercato del lavoro emergente. Il part time e i contratti a breve termine sono ormai parte integrante del mercato del lavoro che, soprattutto nel Terzo settore, oggi offre sempre nuovi tipi di impiego soddisfando i bisogni della collettività che prima non trovavano risposta. Se questi bisogni restano insoddisfatti, non dipende forse dal fatto che né lo Stato né il mercato svolgono adeguatamente il loro lavoro? Molti di questi bisogni sono intercettati dallo Stato o dal mercato. Il punto è che le organizzazioni non profit hanno creato una nuova dimensione di mercato del lavoro che risponde meglio a bisogni che né il servizio pubblico né quello privato riuscivano a soddisfare. E di questo non possiamo che rallegrarci. I 52 progetti pilota sostenuti dalla Commissione in tutta Europa sono molto diversi tra loro per natura e modalità di intervento. Alcuni si rivolgono al settore pubblico, altri al privato, alle organizzazioni non governative e di volontariato oppure a creare collaborazioni tra tutte queste realtà. Così si soddisfano sempre nuove esigenze e nasce un nuovo tipo di piccola e media impresa. Noi ci auguriamo che questo movimento continui a svilupparsi perché il Terzo settore è ormai una parte integrante della nostra strategia contro la disoccupazione. Non si rischia di considerare il Terzo settore soprattutto come mezzo per creare occupazione? Non è che una parte della nostra strategia per l?occupazione. Intendiamo, infatti, anche realizzare delle riforme strutturali per facilitare l?accesso all?economia tradizionale. Il nostro scopo è trovare una soluzione ai problemi, ed esplorare nuovi strumenti per risolverli. Ma il vero successo per il Terzo settore consisterà nel reintegrare queste attività nella rete dell?economia classica, nella più grande rete delle piccole e medie imprese. Nei piani d?azione nazionale per l?occupazione esaminati dalla Commissione, non sentiamo ancor la presenza del Terzo settore come mezzo per modificare la situazione della disoccupazione. Sono gli Stati che non hanno ancora capito la posta in gioco o le organizzazioni del Terzo settore che non hanno ancora coscienza del loro ruolo di creatori d?occupazione? È vero che questa preoccupazione non è ancora abbastanza forte nella coscienza degli Stati. Come Unione l?abbiamo sottolineato nelle linee direttive sull?occupazione del 1998. Ma deve essere anche ricordato che i 15 capi di stato del summit di Cardiff del giugno scorso hanno promesso di attuare politiche di sostegno più forti per il Terzo settore. Il potenziale del Terzo settore è stato dunque riconosciuto. Il nostro incoraggiamento verrà perseguito nelle linee direttive per il 1999. Attualmente stiamo analizzando i piani nazionali per l?occupazione e intendiamo inserire il Terzo settore in un strategia più generale senza separarlo dall?economia tradizionale. Deve diventare un elemento integrante della lotta europea contro la disoccupazione. Il Terzo settore può trasformare le relazioni tra uomini e donne e il lavoro, soprattutto per quanto riguarda le donne spesso occupate in casa Certamente. Il Terzo settore offre grandi possibilità a coloro che non hanno la possibilità di lavorare a tempo pieno ma che sarebbero disposti a un part time. Noi sosteniamo lo sviluppo del tempo parziale solo se garantisce un sistema di sicurezza sociale uguale a quello di chi lavora a tempo pieno. La ricerca dell?uguaglianza tra i sessi è un elemento essenziale di tutta la strategia dell?occupazione. L?uguaglianza e le pari opportunità sono infatti un elemento essenziale per le potenzialità europee dell?impiego. Senza la partecipazione delle donne, il sistema sociale del futuro non sarà sostenibile. Questo è un elemento chiaro per le politiche di ogni Stato.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA