Welfare

L’autogol di Spielberg

Grave errore la rinuncia alla consulenza artistica delle Olimpiadi. Almeno secondo le ong. "Un gesto eclatante che rischia di essere un boomerang", attacca Amnesty.

di Emanuela Citterio

La Cina non perdona Steven Spielberg. A sei mesi dai Giochi di Pechino, che inizieranno l?8 e chiuderanno il 24 agosto, a divampare non è la fiamma della fiaccola olimpica, ma quella delle proteste contro l?atteggiamento del governo cinese in materia di diritti umani. Un tema scottante per tutti, ma affrontato in modo diverso dalle organizzazioni internazionali che se ne occupano. Da parte sua il Gigante asiatico mal tollera le critiche contro la sua politica interna e internazionale. Il caso Spielberg insegna. Il regista di E.T e Jurassic Park il 12 febbraio ha scelto la rottura, rinunciando al suo incarico di consulente artistico per le cerimonie di apertura e chiusura dei Giochi, a causa, ha fatto sapere in un comunicato, dell?atteggiamento della Cina nei confronti del Darfur. La Cina, grande investitore nell?industria petrolifera del Sudan, si è opposta con il veto all?invio di forze di pace Onu nella regione occidentale del Paese africano, al centro di una crisi umanitaria dal febbraio del 2003. Spielberg non ha scompaginato solo le carte degli organizzatori ma anche quelle dell?altro fronte, quello delle organizzazioni che difendono i diritti umani. A sorpresa, la più nota, Amnesty International, non sta dalla sua parte. «Il boicottaggio è un gesto eclatante, ma nel caso della Cina rischia di provocare solo chiusura e irrigidimento», afferma Paola De Pirro, coordinatrice per l?Italia della campagna Pechino 2008: Olimpiadi e diritti umani in Cina. «Gesti come quello di Spielberg si scontrano con un forte sentimento nazionalista, e paradossalmente lo rinforzano. I blog cinesi in questi giorni lo dimostrano. Si leggono critiche come: ?Figuriamoci se non c?è un regista cinese abbastanza bravo da sostituire Spielberg?. E si tratta di blog indipendenti dal governo». Per Amnesty la strada giusta è allearsi con le forze che, dall?interno della Cina, premono per il cambiamento. L?organizzazione internazionale ha fatto quattro richieste precise al governo cinese in occasione delle Olimpiadi. «La prima riguarda la pena di morte», spiega De Pirro. «Ma anche qua è irrealistico pensare che la Cina sia pronta per abolirla o per una moratoria. Abbiamo sposato la posizione di alcuni gruppi cinesi che chiedono una drastica diminuzione dei tipi di reati per cui è applicata: oggi sono 68». Seguendo questo criterio, Amnesty International approfitterà delle Olimpiadi per chiedere a Pechino di chiudere i campi di rieducazione attraverso il lavoro (ne esistono ancora più di mille in tutto il Paese), di garantire la libertà a chi difende i diritti umani in Cina e di porre fine alla censura, soprattutto nei confronti degli utenti di Internet.A vedere le Olimpiadi come «un?enorme occasione per far pressioni sul governo cinese perché migliori il suo atteggiamento riguardo ai diritti umani» è anche Human Rights Watch. Il tallone d?Achille di Pechino, afferma da Londra Tom Porteus, direttore della campagna di Hrw è proprio il nazionalismo. «Non ci faremo promotori di dimostrazioni pubbliche o azioni dirette durante le Olimpiadi», precisa Porteus. «Sarà il nostro lavoro di ricerca a fare pressione su Pechino. Abbiamo documentato lo sgombero forzato di centinaia di famiglie dalla capitale per la costruzione delle strutture olimpiche e lo sfruttamento del lavoro per la realizzazione di gadget legati ai Giochi». Hrw collabora con diversi gruppi e associazioni cinesi, «ma manteniamo segreti i contatti per garantire la loro sicurezza». «In questi mesi la tensione del governo a tacitare ogni protesta è alta e costante. Spetta a chi è fuori dalla Cina mettere in luce le contraddizioni e chiedere un cambiamento». In Cina c?è chi è presente da 150 anni. Si tratta del Pime, il Pontificio istituto per le missioni estere, da sempre attento osservatore della realtà cinese. La libertà religiosa è uno dei tanti temi sotto i riflettori in occasione dei giochi olimpici. «In questo momento in Cina non c?è libertà religiosa, ma nemmeno persecuzione», afferma Gianni Criveller dell?Holy Spirit Study Centre di Hong Kong, uno dei migliori osservatori al mondo sul cristianesimo in Cina. «A esprimere la posizione della Chiesa cattolica è stato il vescovo di Hong Kong, il cardinale Joseph Zen: fare di questi Giochi un?occasione per fare presenti le questioni aperte su libertà e diritti umani. Aggiungo che bisognerebbe approfittare di questo evento per parlare anche di quello che funziona in Cina, che si sta muovendo dal basso e sta cambiando in meglio. Mi ha colpito di recente l?esperienza di un gruppo di avvocati cinesi: difendono scrittori e giornalisti censurati, e i diritti di persone le cui case sono state espropriate senza compensazione. Prendono alla lettera una frase cara alle autorità cinesi secondo cui la Cina ?è un Paese dove esistono leggi?. Ma lo fanno in modo indipendente».

Info: Amnesty InternationalPime

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