Cultura

L’autocostruzione sbarca nel campo nomadi

Un muro divide le roulotte dal resto della città. Eppure ad abitarvi sono sinti italiani. Che lavorano e mandano i figli a scuola. E che sognano, come tutti, una casa.

di Elisa Cozzarini

"Quando è festa anche noi mettiamo lo smoking, mica ci infiliamo un calzino in testa. Siamo come voi gagi, solo che abbiamo sangue sinto e ci teniamo", a Virgilio Pavan detto Bianco piace scherzare. Al volante davanti alla stazione di Padova, scatta il verde al semaforo e lui si mette a gridare ai pedoni: «Fermi tutti! Adesso passiamo noi!». Quelli lo guardano straniti e lui ride di gusto. È un giostraio, di mestiere fa divertire la gente. I suoi occhi azzurro chiaro non smettono mai di brillare, anche quando dice che le persone, se sanno che vivi nel campo nomadi di via Tassinari, ti guardano con diffidenza. Si allontanano, non ti danno lavoro o non ti rinnovano il contratto a tempo determinato. «Noi giochiamo a calcio, ma i nostri compagni non sanno dove viviamo. Una volta un amico mi ha detto: ?Ti vengo a trovare?. Ho dovuto fare finta di niente. Abbiamo paura che si scopra che stiamo qui», racconta il giovanissimo genero di Bianco. Eppure al campo l?accoglienza è genuina e l?atmosfera allegra. C?è tanta gente in giro. C?è l?oca Alice, orfana di un circo. Fa la guardia ed è più minacciosa di Tarzan, affettuosissimo pastore tedesco che si porta i bambini in groppa come un cavallo. Qui ti senti a casa anche se mancano le mura. Non fai in tempo a sederti sotto la veranda nella piazzola tra le roulotte, che arriva il caffè fumante. Le roulotte più grandi le chiamano caravane, quelle più piccole campine. Le caravane sono vere e proprie casette, con tanto di divano, cuscini e lavatrice sempre in funzione. «Nel panorama italiano, questa è certamente una situazione felice, nonostante l?isolamento dal resto del mondo», spiega Marco Tombolani dell?Opera Nomadi di Padova. Attorno al campo corre un muro di cemento alto quattro metri che impedisce di vedere i vicini e un capannone industriale abbandonato. Però ci sono luce ed acqua, passano a derattizzare e disinfestare ed è relativamente pulito. Davanti alla roulotte di Bianco c?è un giardinetto con le piante e un altare alla Madonna che ha costruito lui appena arrivato, dieci anni fa. Sul braccio ha tatuato un Cristo.

La casa ideale
«La cosa importante è anche che siamo solo undici famiglie della stessa etnia – sinti -, giostrai per tradizione, italiani. Noi non ci vogliamo mescolare ai rom, siamo diversi», spiega. «Non è questione di razzismo, è che si mangia tutti insieme, all?aperto. Qui c?è una sola pentola». Ma tutti sognano una casa, perché la vita al campo è dura. Presto dovrebbe partire un progetto di autocostruzione, presentato dall?Opera Nomadi al Comune di Padova. Si faranno tre casette quadrifamiliari con un giardino. I sinti hanno deciso di chiamarlo ?Villaggio della speranza?. «Avere spazio all?esterno è importante. Alcuni di noi ci hanno provato ad andare nei condomini, ma come si fa a vivere al secondo piano? Io impazzirei a stare chiuso. Piuttosto preferirei continuare a vagabondare come si faceva una volta». Prima di fermarsi a Padova, Bianco stava una settimana qui, una là, andava con le giostre di sagra in sagra, di festa in festa. Ci si muoveva con la roulotte e tutta la famiglia. Anche allora i bambini a scuola ci andavano, ma non imparavano niente, sbattuti ogni sette giorni in una classe diversa. «Per questo le cose devono cambiare. Non vogliamo che i nostri figli e nipoti vivano come noi. Non è più possibile campare facendo i giostrai, ce ne rendiamo conto. Ma vogliamo anche conservare le nostre tradizioni, per questo ci teniamo vicino i figli quando si sposano. Non siamo come voi gagi che ve ne andate di casa». Bianco ha 11 fratelli, 227 nipoti e quattro figli, tre maschi e una femmina. «Sono già nonno e non ho nemmeno sessant?anni!», dice fiero. Sua figlia ha rispettato la tradizione. Ma non è più come una volta. «Ormai le nostre donne sono come le gagi, battono i pugni sul tavolo. E certo non mangiano più sole con i figli, separate dagli uomini. Anzi, a me piace tenermi i piccoli in braccio a tavola. Non sono come mio padre». I bambini intanto fanno i compiti. Grazie alla mediazione dell?Opera Nomadi, anche alcuni adulti hanno preso il diploma di scuola media. Intanto Bianco continua a fare il giostraio, si sposta da solo, con un furgone. L?ultima sagra dell?anno è a novembre, poi si riparte a Carnevale.

Oggi e domani
Il campo di via Tassinari ospita 29 persone, di cui 17 adulti e 12 minori, tutti sinti italiani. La gestione del campo è affidata all?Opera Nomadi di Padova, che lavora in stretto collegamento con il Servizio sociale del Comune garantendo la presenza giornaliera di operatori. I bambini vanno tutti regolarmente a scuola, sempre con la collaborazione dell?Opera Nomadi. Presto tutti gli abitanti del campo saranno coinvolti in un progetto di autocostruzione, in collaborazione con il Comune, che li porterà ad abitare in piccole case.


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