Formazione

L’Argentina riparte dai biglietti verdi…ma non sono dollari

Buenos Aires. I supermercati fai da te, incredibile fenomeno di economia spontanea con 4mila punti di scambio. Ognuno con centinaia di bancarelle. (di Gianni Valente)

di Redazione

Un municipio satellite nell?area della grande Buenos Aires: siamo a Quilmes. I viali ordinati e le villette piene di verde del centro cittadino raccontano storie di tanti, immigrati italiani e spagnoli o ex poveri cristi della provincia, venuti fin qui a faticare e a trovare fortuna. Standard di vite benestanti raggiunte col lavoro di due o tre generazioni. Ma ora che tutto il sistema argentino è andato in corto circuito, è finito quasi il sogno collettivo di vedere i propri figli stare meglio dei padri. L?orologio ha cominciato a camminare all?indietro.
Il saccheggio di un Paese strangolato dalle ?mani invisibili? del mercato, cui si era affidato seguendo alla lettera le istruzioni dell?ortodossia neoliberista ha arricchito l?élite dei super-ricchi. Ma l?accumulazione finanziaria ha vampirizzato il sangue dell?economia reale, distruggendo il sistema produttivo. Il risultato è che gli strati medi, che a metà degli anni 70, prima della dittatura, costituivano il 65% della popolazione, ora sono solo il 45%. I poveri, che un quarto di secolo fa erano 2 milioni, adesso sono diventati 12 milioni, pari al 30% degli argentini. Di questi, 4 milioni vivono in stato di totale indigenza. E il 60% di questo esercito di disperati proviene dalla classe media. La rabbia di chi si trova povero all?improvviso si è espressa in mille modi. Dai monotoni concerti di pentole (cacerolazos), agli assalti ai bancomat di chi cerca vendetta contro invisibili aguzzini. Ma sale dal basso, insopprimibile, una sete di rivincita. La voglia di riprendersi in mano la vita.
A Quilmes, il simbolo di questa riscossa sono gli impianti in abbandono della fabbrica tessile, che ha chiuso mandando per aria le vite di migliaia di operai. Adesso, per tre giorni alla settimana, gli spogli scheletri di cemento armato diventano un formicaio umano. Centinaia di bancarelle improvvisate danno vita mercato del trueque della Bernalesa. Uno dei più grandi della rete capillare di economia alternativa che si è propagata in tutto il Paese, con 4mila punti di scambio. Ospitati nelle parrocchie, nei circoli sindacali, negli ambienti comuni dei caseggiati, o come qui negli impianti in rovina di industrie fallite. La rete dei trueque (che vuol dire baratto) è un colpo di reni dell?imprenditoria ?dal basso? che in pochi mesi, con l?incrudelirsi della crisi, ha visto impennare gli operatori coinvolti da 50mila a quasi 400mila.

Una rete solidale
I tre iniziatori (un chimico, un ecologista e uno psicologo) sono partiti da un?idea semplice. La crisi, che normalmente produce frustrazione paralizzante, sconforto e paura, poteva diventare un?occasione per rimettere in circolo le energie creative marginalizzate dagli orientamenti speculativi egemoni nell?economia formale. «La situazione di cambiamento esigeva risposte innovatrici», racconta Patricia Colombres, responsabile dei programmi dell?emittente Radiotrueque. «Occorreva passare senza paura all?autogestione, riscoprire la soddisfazione di guadagnare senza ricorrere ai soliti inganni, auto-inganni, slealtà e connivenze».
Ne è nato un immenso supermercato fai da te, che apre filiali dovunque a ritmo esponenziale, e da cui dipende ormai l?economia familiare di 2 milioni di argentini. Se le aziende licenziano, se le banche sequestrano i conti, se la speculazione finanziaria non ha remore a trasformare in disoccupati milioni di lavoratori, al mercato del trueque vai e vendi quello che hai, o quello che sai fare. Non girano né pesos né dollari. La domanda e l?offerta si incontrano in uno spazio ?liberato? dalla mediazione monetaria e dai suoi agguati speculativi, che da queste parti han sempre fatto brutti scherzi. Ognuno compra e vende beni e servizi servendosi dei creditos, piccoli foglietti verdi che valgono solo all?interno dell?intero circuito. È pagato in creditos anche il servizio d?ordine interno, che vigila per evitare che anche qui chi vende beni di prima necessità come il riso e il pane assuma atteggiamenti speculativi.
Nella rete solidale dei trueque c?è di tutto: dal pane alle lampadine, dai cannelloni ai laboratori di depilazione, dai telefoni alle scimmie impagliate, dagli accendini alle visite a domicilio offerte in baratto da un?azienda sanitaria che è fallita, e che ha aderito al trueque Pyme, il progetto di salvataggio di piccole imprese in difficoltà sviluppatasi in parallelo con la rete del trueque. Anche qui a Quilmes, il fenomeno sociale del trueque assume la consistenza di volti e storie concreti. Arrivano alla Bernalesa molti commercianti di Baires, che lasciano i loro negozi dove non entra più nessuno e provano a piazzare qui i loro articoli in cambio di cibo.
Parecchi di quelli che da tante strade diverse sono finiti qui, rispondono all?identikit sociale del ?prosumidor?, di colui che partecipa al ciclo economico non solo come consumatore passivo, ma anche come produttore capace di far tesoro del proprio estroso spirito d?iniziativa. Gente come Margarita e Victor, lei licenziata dalla fabbrica tessile, lui dalla fabbrica di scarpe. Adesso, lui fabbrica scarpe con il cuoio comprato all?ingrosso e lei cuce vestiti. E i loro cinque bambini si divertono pure, a fare i commessi per caso dietro il banchetto di mamma e papà. C?è anche chi non sa far nulla, e allora mette in vendita gli arnesi ormai inutili di un minimale benessere consumista eroso dal nubifragio inatteso della miseria. Come Gladis e Alejadro, pensionati statali, che allineano sulla loro bancarella uno spremiagrumi, una piastra per stirare i capelli, il videoregistratore e qualche cassetta di film americani, «tanto noi li abbiamo già visti». Davanti a loro viene da pensare che le buone intenzioni e i buoni risultati della rete sussidiaria del trueque non bastano a far dimenticare il dramma argentino.
È un intero Paese che deve rimettersi in carreggiata, rientrare nei circuiti sempre più interdipendenti dell?economia globale. E in questo processo non può essere tagliata fuori la politica. Proprio la sequenza del tracollo argentino sembra dar ragione al presidente Eduardo Duhalde, quando ripete che «lo Stato non può lasciare in mano al mercato la distribuzione dei redditi e l?equità sociale».

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