Economia
Lantidoto alla Bossi-Fini
Gli immigrati sempre più spesso non sono i destinatari degli interventi, ma ne diventano protagonisti. I servizi che vanno per la maggiore? Lavoro, informazioni burocratiche e mediazione culturale.
Immigrati e cooperazione sociale, un binomio che funziona. Sarà per le caratteristiche strutturali della cooperazione sociale, sarà perché i problemi connessi al fenomeno immigrazione non possono essere affrontati solo con la logica del controllo e della prevenzione (che sembra aver prevalso con l?ultima legge del settore, la Bossi-Fini) ma le risposte che la cooperazione sociale riesce a dare sembrano soddisfare le esigenze di chi tenta, con fatica, di inserirsi nel tessuto economico e sociale del nostro Paese.
Di immigrazione la cooperazione sociale inizia a occuparsi 15 anni fa, quando ancora formalmente le cooperative sociali non esistevano. Nel 1989 a Reggio Emilia, grazie alla lungimiranza dei soci fondatori, viene costituita la Dimora di Abramo, la prima coop nata per occuparsi specificatamente di immigrazione. Federsolidarietà ha realizzato una ricerca tra le sue cooperative che si occupano di immigrazione.
Dalla ricerca esce un quadro incoraggiante se si limita l?analisi all?attività delle coop; deludente se si prende in considerazione il quadro legislativo in cui devono operare. «Il fatto è che, rispetto anche ad altri settori del sociale», spiega Davide Drei, responsabile immigrazione di Federsolidarietà, «l?immigrazione sconta il fatto di essere un tema politicamente e socialmente ?caldo?, per cui le politiche sono, se non di chiusura, comunque timide e prudenti e mai con una prospettiva di medio-lungo termine».
La storia conferma: in 16 anni sono state quattro le leggi approvate per tentare di regolare il fenomeno, con l?ottica del controllo che ha prevalso in genere su quello della prevenzione e dell?intervento sociale. «La legge 189/02, la Bossi-Fini», nota ancora Drei, «nemmeno prende in considerazione le attività di assistenza, integrazione e prevenzione connesse all?immigrazione».
Piccole ma vivaci
La risposta della cooperazione si è adattata alla diversità dei contesti locali per cui gli interventi non sono standardizzati ma differiscono in relazione alle caratteristiche dei bisogni degli immigrati e del territorio; da questa disomogeneità è possibile comunque individuare alcune caratteristiche comuni.
«Le cooperative», prosegue Drei, «hanno un forte carattere comunitario, sono di piccole dimensioni e mantengono relazioni con il mondo del volontariato, di cui spesso rappresentano l?evoluzione organizzativa, e con le comunità straniere. E poi sono sempre più multietniche: gli immigrati non sono solo destinatari degli interventi ma sempre più acquistano un ruolo attivo nella erogazione dei servizi in qualità di operatori o soci.
Altra caratteristica comune è data dall?innovatività nei servizi: molto spesso se ne sperimentano di nuovi con la flessibilità necessaria per adattarsi alle variazioni dei bisogni».
Le cooperativa sociali che si occupano di immigrazione, sono, inoltre, prevalentemente di tipo A e collaborano con cooperative che operano in altri settori, con le fondazioni e, in alcuni casi, anche con le associazioni degli industriali. Spesso rappresentano lo strumento operativo a livello territoriale degli enti pubblici.
Inserimento lavorativo, sportelli informativi, mediazione culturale sono alcune delle attività svolte dalle cooperative sociali per (e con), gli immigrati. Esperienze che, fatta eccezione per la Sicilia, sono localizzate al Centro-Nord e spesso non sono collegate tra loro.
Con i Paesi poveri
Proprio con l?obiettivo di creare una rete di coop sociali che si occupano di immigrazione è nato il progetto Migrazioni e cooperazione internazionale del consorzio Cgm. «Analizzando le attività sul territorio di alcuni nostri consorzi», racconta Susanna Rognini, responsabile del progetto, «ci siamo resi conto che ce n?erano molti che si occupavano di immigrazione. Da qui l?idea di dare vita a un progetto ad hoc».
La nostra è un?iniziativa triennale, avviata quest?anno, articolata su tre linee di intervento: la prima è quella relativa ai servizi destinati agli immigrati. L?obiettivo è mettere in rete le diverse esperienze per fare in modo che diventino patrimonio comune. La seconda è quella relativa alla valorizzazione dell?interculturalità attraverso politiche educative e formazione all?accoglienza. La terza vuole creare un legame tra l?insieme di queste azioni in Italia e interventi simili nel resto dell?Europa in collaborazione con la cooperazione internazionale, un campo innovativo per la cooperazione sociale di cui esiste oggi in Italia una sola esperienza, quella del consorzio Polis di Pisa.
Attraverso questo tipo di intervento vorremmo far conoscere ed esportare lo strumento della cooperazione per favorire lo sviluppo dei Paesi poveri».
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.