Famiglia

L’affido è un po’ guerra

Antonio Capuano, ovvero una breve ma ricca filmografia di quello che un tempo chiamavamo cinema dell’impegno. Film di vita vissuta. Racconti spesso corali raccolti sul marciapiedi.

di Maurizio Regosa

Antonio Capuano, ovvero una breve ma ricca filmografia di quello che un tempo chiamavamo cinema dell?impegno. Film di vita vissuta. Racconti spesso corali raccolti sul marciapiedi. Testimonianze varie di un disagio forse insanabile, ma continuamente opprimente. Pochi film – da Vito e gli altri (1991) a Pianese Nunzio, 14 anni a maggio (1996) – nei quale emerge soprattutto l?interesse per l?infanzia, spesso età di prematuri naufragi. Non si allontana da questa tradizione l?ultima pellicola del bravo regista partenopeo. La guerra di Mario, lo dico subito, è lontano dall?essere un film perfetto, ma è saldo e vigoroso. Il racconto del piccolo in affido temporaneo (Marco Grieco) e del suo rapporto difficile con la ?mamma? (Valeria Golino) ha dei momenti straordinariamente intensi che bene descrivono le diseguali tappe della relazione fra loro. Una relazione che mostra la determinazione e l?immaturità di entrambi, la comune partecipazione a una guerra che non esclude nessuno e che ciascuno affronta per ragioni diverse (il ragazzo spinto dalla voglia di sopravvivere, l?aspirante mamma e il suo compagno da un desiderio di amare che non basta di per sé, ed è tema coraggioso). Molto ben sostenuti sono pure i ricordi di Mario, fulmini in un cielo mai sereno: una scelta stilistica molto sobria (la sua voce fuori campo, il ragazzo in scena mentre scompaiono i colori e il suo volto assume i contorni del bianco e nero) per aprire squarci di un passato tremendo, insostenibile. Peccato che il film, che pure vanta un?eccellente fotografia (dovuta a Luca Bigazzi) e mostra un piglio stilistico deciso grazie a un montaggio rapido, brusco e quasi volutamente ?selvaggio?(gli stacchi sono netti, ci portano sempre in un altrove che fa parte della storia, ma ne arricchisce le pieghe), sia piuttosto diseguale. Di tanto in tanto la sceneggiatura ha degli scivoloni. O a causa di un personaggio abbozzato ma non risolto (come la vera madre di Mario, che introduce un tema interessante, la contrapposizione di diverse Napoli: quella borghese e quella delle zone interdette alla polizia). O a causa di un eccesso di pedanteria (quelle scene a scuola: quante volte ancora dovremo sopportare la rappresentazione per stereotipi delle classi e delle maestre?). Difetti non lievi, che non riescono comunque ad appannare l?affresco coraggioso tentato da Capuano che mostra le ragioni diverse degli adulti, ma sa farsi portavoce rispettoso di quelle di Mario e dei suoi amici. Syriana di S. Gaghan, Usa, con G. Clooney Terrorismo internazionale, politica estera americana e industrie petrolifere con un intreccio basato sulle memorie di Robert Baer, ex agente della Cia. Oscar per Clooney. ** Il suo nome è Tsotsi di Gavin Hood, GB/Sudafrica Il miglior film straniero agli Oscar è un film sui ghetti neri di Johannesburg. Protagonista è Tsotsi, il capogang: peccato per lo slang tagliato nella versione italiana. *** L?incubo di Darwin di Hubert Sauper, Fr/Au/Be, doc. La globalizzazione e il capitalismo dal punto di vista della Tanzania, dove nel 54 nel lago Vittoria venne introdotto un pesce che estinse le razze locali e divenne presto il principale prodotto d?esportazione. ** Mooladé di Ousmane Sembene, Senegal/Francia«Quando le donne progrediscono è l?intera società a progredire», dice il regista che racconta l?infibulazione in Africa. ***


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