Non profit

Kyiv è una città senza bambini

di Paolo Dell'Oca

Che poi se me lo chiedi io ti dico pure che sono bravo ad ascoltare. Magari non sono il Michael Jordan dell'ascolto, però me la cavo. Ma a Kiev è stata un’altra storia.


Quando suona la sirena si può fingere di non averla sentita, e continuare a dormire, a mangiare, a. Magari effettivamente non la si sente, ma affettivamente la si ascolta. E una parte di te scende ogni dannata volta in quella dannata palestra sotterranea, prende le due sedie per sedersi stendendo le gambe e aspetta che l’applicazione decolori la regione di Kiev, per tirare il fiato. Per respirare regolarmente. Come dopo che hai fatto i 5 tibetani, che non so cosa siano, ma non so neanche cosa sia la guerra.

Per sapere una roba devi averla vissuta, e vivere a Kiev significa esserti accorto che sono spariti tutti i bambini; e io non me ne sono accorto, non vivo a Kiev, me l’ha dovuto dire Gloria Mascellani: “Kyiv è una città senza bambini”. Vivere a Kiev significa vivere a Kyiv. Significa sapere che i palloncini sono stati proibiti perché la loro esplosione provoca infarti. Come al ritorno da Genova: per un paio di mesi ogni elicottero che sentivo era un tuffo al cuore.

Bella ciao in Ucraina: una mattina si son svegliati e han trovato l’invasor. Una vita a cantarla, ma quando trovi l’invasor cosa gli fai? E sei tu a dire agli altri cosa fare all’invasor? Vitalij Klyčko, sindaco di Kyiv ed ex pugile, ce ne parla, ma anche monsignor Visvaldas Kulbokas, il nunzio apostolico: "Come costruire la pace?".

In testa rimbombano questa e altre domande, che richiedono risposte. Che arriveranno, al tempo giusto. È sempre il tempo giusto per la non violenza, e ci sarà un tempo giusto per le risposte. Chissà quella bimba che stava rientrando in Ucraina spingendo la carrozzina giocattolo cosa stava raccontando al suo gattino di peluche?

“Torniamo a casa, Micio”.

Torniamo a casa, Paolo*. Per tornare a casa si riattraversa la dogana, sento un bambino che scoppia a piangere e magari è un capriccio, sicuramente è un capriccio, ma non riesco a non pensare che forse invece ha perso qualcosa, o qualcuno. Un pezzo della sua vita che stava imparando a conoscere.

Un viaggio complesso e compresso in compagnia di 56 persone che mi han detto le cose che poi ho messo in fila in queste righe, a dimostrazione che ho ascoltato. Un viaggio di 96 ore di cui 60 su un pullman che ha attraversato il mio terreno bruciato dal salino. Di terreni bruciati ne vediamo sempre di più (giustizia sociale è anche giustizia ambientale, ricordiamolo quando tra poco si voterà), e secco è anche il letto del fiume della pace, che vorrei innaffiassimo di iniziative e gemellaggi per stare uniti, gli stati uniti d’europa, tutti minuscoli perché si parte dal basso.

I corpi civili di pace dovrebbero affiancare le zone calde (sigh) del mondo per facilitare il dialogo, in un necessario esercizio di prudenza: noi siamo andati a Kyiv proprio perché stare sul divano a guardare Netflix era più rischioso. E forse per un giorno i nostri sono stati dei corpi civili di pace. E i prossimi giorni?

I prossimi giorni si continuerà a lavorare su percorsi di non violenza, con il progetto del Movimento Europeo di Azione NonViolenta. Senza smettere d'ascoltare, che è sempre difficile, e in Ucraina di più.

*Il 7% degli attivisti presenti rispondeva a questo nome, quindi trovo opportuno adottarlo.

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