Cronache russe

Kursk, le voci dei 200mila profughi russi: non potete capire quello che sta succedendo qui

Grazie al lavoro del nostro collega russo in esilio Alexander Bayanov siamo riusciti a raccogliere le testimonianze delle popolazione civile nei territori occupati dall'esercito ucraino. Ecco cosa pensano della situazione, della guerra e di Putin

di Alexander Bayanov

People evacuated from a fighting between Russian and Ukrainian forces in Kursk region sit next to tents at a temporary residence center in Kursk, Russia, Monday, Aug. 12, 2024. (AP Photo)

La guerra è arrivata in territorio russo, cosa probabilmente inevitabile. La perdurante guerra civile tra il potere centrale e il suo stesso popolo va avanti da più di 100 anni in forme mostruose, tra le quali anche il folle attacco a un popolo vicino e fratello. Come ogni guerra, porta con sé conseguenze imprevedibili e tragiche. La reazione di Putin, che in patria mostra grande indifferenza verso quanto sta accadendo e definisce l’invasione dell’esercito ucraino con un’altra parola astratta, “situazione”, suscita generale sconcerto. Le autorità hanno paura di ammettere i propri errori e si nascondono dietro il flusso di parole della propaganda che cerca di presentare ciò che sta accadendo come un evento insignificante, legato ad un attacco di terroristi, nazisti e così via. Tuttavia il territorio già conquistato dalle truppe di Kiev è di 1.260 chilometri quadrati (un’area pari all’incirca alla provincia di Como) e il numero dei profughi interni si avvicina alle 200mila persone.

La situazione degli sfollati è disperata, proprio come quella degli ucraini all’inizio della guerra: a volte le persone lasciano le proprie case solo con quello che indossano. Centinaia di tonnellate di aiuti umanitari sono stati inviati a Kursk, dove si trovano i centri di accoglienza. I volontari lavorano sia nei punti di accoglienza che nei punti di distribuzione degli aiuti umanitari. 

La Croce Rossa sta fornendo assistenza alle vittime. Coordinandosi con altre organizzazioni umanitarie e con lo Stato, sta anche cercando i parenti, sia quelli rimasti nei territori occupati sia tra le persone nei centri di accoglienza temporanea. Alla raccolta di fondi e aiuti umanitari hanno partecipato anche le strutture della Chiesa cattolica in Russia. Il vescovo ausiliare dell’arcidiocesi della Madre di Dio a Mosca, Nikolai Dubinin, ha dato indicazioni per la creazione di un punto di raccolta degli aiuti umanitari in una delle chiese di San Pietroburgo e ha chiesto l’apertura di altri punti simili nelle parrocchie, per quanto possibile.

Per russi molti ciò che sta accadendo è stata una sorpresa, anche se da tempo i territori confinanti con la zona di guerra vengono bombardati. Poiché in uno Stato totalitario tutta la responsabilità ricade sul “capo”, le persone si rivolgono a Putin chiedendo aiuto.


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Ecco alcune testimonianze (a cui garantiamo l’anonimato) che siamo riusciti a raccogliere da Kursk:

“Fanno volontariato persone di età e professioni completamente diverse: fotografi, uomini d’affari e semplicemente coloro che possono prendersi una pausa dal lavoro e che hanno tempo libero. Vengono scolari e studenti. I rifugiati hanno problemi di pressione sanguigna. Oggi una nonna si è sentita male, l’abbiamo rianimata. Gli anziani vanno negli ospedali dopo essere sopravvissuti ai bombardamenti. Nel nostro gruppo, ad esempio, su 150 sfollati, circa 30 persone sono state ricoverate in ospedale. La gente si è mobilitata. Gli imprenditori donano i propri prodotti e stanno creando nuovi posti di lavori per i rifugiati, offrendo stipendi più o meno normali per gli standard di Kursk”.  

“Non ci sono persone intorno a me che si siedono e stanno con le mani in mano. Abbiamo bisogno di aiuto. C’è la sensazione che le persone in Russia e all’estero non comprendano appieno la portata di ciò che sta accadendo. Ci sono migliaia di rifugiati a Kursk. Ci mancano prodotti per la pulizia della casa, sapone, rasoi usa e getta, alimenti per bambini e pannolini. Mancano materassi, biancheria da letto, asciugamani.”

“Posso dire onestamente di aver ignorato gli eventi del 2022 (l’avvio della guerra in Ucraina) fino alla situazione attuale. Tutto è cambiato quando sono andata a donare il sangue questo agosto e ho visto tutto con i miei occhi. Sono rimasta scioccata: ospedali sovraffollati e feriti curati in tende di emergenza per strada”.

Donerò il sangue, ma non vorrei incoraggiare le persone a sostenere le azioni militari. È molto più importante sostenere i rifugiati. Chiunque avrebbe potuto essere al loro posto. L’aiuto umanitario va oltre la politica. Sarò sincera: all’inizio di agosto il mio primo pensiero è stato quello di comprare i biglietti aerei e volare all’estero con mio figlio. Ma ad un certo punto ho capito che non volevo lasciare la mia terra natale. Se possibile, bisogna superare le proprie paure e concentrarsi sulla popolazione civile: non importa stabilire di chi è la colpa se bisogna fare qualcosa”.

“Almeno si ascoltino i gemiti, le grida e la sofferenza della gente. Vediamo che gli ucraini si sentono padroni della nostra terra di confine. I droni volano come uccelli, giorno e notte. Dove sono le nostre formidabili attrezzature, dove sono le mitragliatrici, dove sono la nostra prima e seconda linea di difesa? Tutto è sparito, molti coscritti (soldati di leva) sono stati uccisi: come potrà Lei (Putin, ndr.) guardare negli occhi le loro mamme anche solo in televisione?”.

“Stiamo seduti qui, guardiamo le notizie su tutti i canali: almeno dicessero qualcosa su di noi! La leadership del Paese prende qualche decisione? Siamo stati traditi, siamo stati consegnati per essere fatti a pezzi, siamo stati abbandonati”.

Un altro rifugiato, dopo aver visto un servizio ucraino sull’occupazione della città russa di Sudzha, dice: “Sentimenti pessimi, il mio cuore è a pezzi. Non so più come chiamare questa Operazione Militare Speciale, ora che è sulla nostra terra”.

Per i rifugiati evacuati nella regione di Kursk, la situazione psicologica è ancora peggiore. La guerra li ha raggiunti per la seconda volta. Una donna: “Noi ancora vogliamo restare qui, speriamo che qui ci sia pace e tranquillità, che tutto questo si allontanerà da noi, che le persone torneranno alle loro case. Non voglio pensare che dovrò lasciare tutto e scappare di nuovo. Abbiamo già attraversato tutto questo e al momento qui non sta succedendo nulla rispetto a quello che è successo in Ucraina. C’è solo una via d’uscita: tutti dovrebbero deporre le armi contemporaneamente. Altrimenti la guerra, che va avanti da più di dieci anni, non potrà essere fermata”.

Nelle chat degli emigranti, così come nelle dichiarazioni dei leader dell’opposizione russa in esilio, c’è diversità di opinioni: alcuni credono che sia necessario aiutare i russi che si trovano in una crisi umanitaria, altri pensano che sia necessario raccogliere fondi per l’esercito ucraino, poiché pensano che la vittoria dell’Ucraina sia una vittoria su Putin.

Il leader del Comitato contro la guerra della Russia, la struttura che rappresenta i russi in esilio, Mikhail Khodorkovsky, ha parlato in modo molto duro e realistico di ciò che accadrà nei territori russi occupati: “Ciò a cui dovrebbero pensare ora i russi che vivono nei territori di confine è che la responsabilità per i bombardamenti a tappeto da parte dell’esercito russo, gli attacchi dell’artiglieria senza riguardo per i civili, verrà poi fatti ricadere sull’Ucraina. Il fatto che Putin faccia la guerra proprio in questi modi e non abbia pietà per la sua stessa gente è assolutamente certo. Putin è il nemico della Russia”.

Foto in apertura: sfollati russi nella regione di Kursk

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