Mondo

Kosovo: la denuncia delle ong. La Nato non ripeta gli errori del passato

Nelle scuole riaffiora il trauma della guerra. E con esso lo spettro di una nuova soluzione unilaterale.

di Carlotta Jesi

“Cinque anni senza scontri sembravano tanti, ma qui è bastato un giorno a far riaffiorare il trauma della guerra”. Quel trauma, Maurizia Sandrini, cooperante di Aibi, l?ha visto riflesso negli occhi dei bambini. Quelli albanesi che la sua associazione assiste nelle zone di Fushe Kosova e Vushtrri, e quelli serbi che aiuta a Priluzje. Dopo gli scontri delle scorse settimane che hanno fatto 31 vittime e 500 feriti, hanno avuto la stessa reazione: “Maestre aiuto, è tornata la guerra”. “Una guerra che la gente normale non vuole”, dice Domenica Bombara del Vis, che organizza corsi di formazione per giovani albanesi al Centro Don Bosco di Pristina. “Chi quotidianamente lavora e soffre, da entrambe le parti, ha voglia di pace”. Sarà, intanto l?Agenzia Onu per i rifugiati annuncia che a Pristina praticamente non è rimasto un solo serbo: più di 3mila hanno lasciato le loro case in seguito agli scontri scoppiati dopo che due bambini albanesi sono morti nel fiume Ibar per sfuggire, sembra, a un attacco serbo. Una minaccia che ha riacceso conflitti non risolti e che rischia di vanificare anni di lavoro della società civile. “Lavoriamo in un?enclave serba vicino a Pec: 800 persone di diversa età che, già prima degli scontri, si sentivano in trappola”, racconta Antonio De Filippis della Papa Giovanni XXIII. “Per dar loro una speranza e dimostrare che la storia invece va avanti, avevamo iniziato a farli incontrare con i serbi di altre zone. Ma ora questo progetto, partito quest?estate, rischia di subire una battuta d?arresto”. Sulla progettualità, oggi in Kosovo prevalgono l?insicurezza e l?incertezza. Per decidere come affrontarle, il 24 marzo, si è tenuta una riunione di ong promossa dall?Ipsia, che manda avanti 6 centri comunitari nella zona di Prizren, e da Bergamo per il Kosovo. Ma l?incertezza rimane, svela Sergio Marelli dell?Associazione delle ong italiane che in Kosovo conta otto organismi con 25 volontari attivi a Pristina, Giacova, Pec e Skopie. “E, soprattutto, rimane il dubbio che qui si stiano per ripetere gli errori del passato”, denuncia Marelli, “con la Nato che chiede rinforzi invece di ragionare su un?azione legittimata dal diritto internazionale”. Che fare? Per il momento, la società civile italiana continua a lavorare ai quattro angoli dei Paese. Da Pec, dove l?Avsi sta portando avanti la creazione di un centro di raccolta latte e di un minicaseificio per cercare di stimolare il settore agricolo della regione e per aiutare una sessantina di agricoltori e allevatori della regione a costituirsi in cooperativa , a Mitrovica. Città in cui, attualmente, lavora l?Associazione per la Pace. Il cui coordinatore nazionale, Davide Berrutti, affida a Vita questa denuncia: “Dietro a questo conflitto ci sono troppi interessi economici e politici per consentire il ritorno alla normalità.Tutti i segnali di ripresa del dialogo e di democratizzazione fanno paura a chi fomenta disordini, a chi guadagna con il traffico d?armi, a chi si arricchisce in un sistema economico poco trasparente, a chi si autolegittima con le armi. è questa la prima guerra che si combatte in Kosovo”.


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