Mondo
Kenya, quello vero
Solo un mese era allarme turisti. Oggi tutto tace, ma il Paese africano non è stato abbandonato delle organizzazioni umanitarie. Il racconto del presidente di una ong in prima linea
Il Kenya è scomparso dalle cronache dopo che la paura è velocemente passata, come un violento temporale, sulle località turistiche più famose. Giusto qualche ?strascico? di notizia, sul lamento degli albergatori perché gli italiani se ne sono inesorabilmente andati. Gli ultimi hanno lasciato Malindi e la costa sud fino a Mombasa. I volontari, invece, sono ancora ai loro posti. Fortemente preoccupati per il futuro del Paese, sconvolto da violenze cicliche all?avvicinarsi delle elezioni politiche.
Vita ha raggiunto telefonicamente a Nairobi Vittorio Cagnolati, il coordinatore dei programmi di sviluppo ed emergenza di Terra nuova la storica associazione umanitaria internazionale italiana, impegnata con due ong keniane – l?Ufficio per lo sviluppo della diocesi di Embu (che lavora nella regione centrale del monte Kenya) e Afrotec – ad aiutare una popolazione preda di mille violazioni. Ecco quel che ci ha detto.
In questo periodo di crisi, c?è mai stata qualche minaccia verso le organizzazioni umanitarie, anche non italiane, che lavorano in Kenya?
«Minacce fisiche per i volontari, no. Tuttavia, alcune ong che hanno sostenuto le fasce più marginali della società keniana, soprattutto contro l?appropriazione di terre destinate a uso pubblico da parte di grossi personaggi politici, sono state minacciate dal governo di ?deregistrazione?, ossia di venir cancellate dall?albo delle ong straniere in Kenya. Stesso ?avviso? per l?Associazione delle ong keniane».
Voi volontari avete, per molti aspetti, il ?polso? della Nazione. Perché questa crisi è scoppiata?
«La crisi è solo apparentemente scoppiata adesso. In realtà si trascina da tantissimo tempo, specie nelle aree più popolose. Sempre più strati sociali sono emarginati dai processi produttivi e ?la forbice? tra ricchi e poveri si allarga. C?è una gravissima mancanza di appezzamenti coltivabili, le politiche fondiarie non favoriscono la ridistribuzione delle terre. Intanto lo Stato non fornisce più i servizi basilari, come quello sanitario».
La ?Convenzione nazionale? (il Nec), avversario dell??Unione keniota? del presidente Daniel Arap Moi, vuole urgenti riforme per il Paese. Quali le più importanti?
«Il Nec, cartello di partiti all?opposizione comprendente anche la Confederazione delle chiese e alcune ong, chiede le seguenti riforme: elezione del presidente a maggioranza assoluta (adesso è sufficiente un 25 per cento in almeno cinque delle otto province, ndr), modifica della selezione della commissione elettorale ora nella mani dell?Ufficio del presidente, possibilità di formare governi di coalizione, la riforma dell?Ufficio del presidente (una sorta di ministero dell?Interno ma potentissimo, ndr), la possibilità di avere candidati indipendenti senza l?appoggio di un partito e l?abrogazione del diritto del presidente di nominare i membri del Parlamento».
L?opposizione ha possibilità di scalzare il presidente Moi, al potere da 19 anni?
«Non ci sono, adesso, alte probabilità che Moi venga sostituito. Sicuramente il sistema elettorale in vigore non aiuta le opposizioni, che sono comunque molto divise: non hanno un candidato unico, né un programma politico in comune».
Nell?attuale crisi, in un Kenya con 16 etnie e 250 tribù, quanto conta lo scontro fra la popolazione delle città e quella delle campagne?
«Non c?è un vero scontro fra la gente urbanizzata e quella rurale. La distinzione non è netta e continuano a esserci sia flussi finanziari dalla città alle campagne sia di risorse alimentari in senso inverso. Rimane invece il problema delle grandi bidonville di Nairobi, che è però di povertà assoluta».
Può il movimento studentesco keniota giocare un suo ruolo nella democratizzazione del Paese?
«Scontri tra la polizia e gli studenti si protraggono ormai da diversi anni. Ma non credo che il loro movimento abbia delle valenze davvero politiche».
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