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Kenya: la lettera di una ragazza kalenjin

Continuano le violenze post-elettorali in Kenya, ma si moltiplicano anche gli sforzi di riconciliazione. La lettera di una ragazza della zona di Nakuru arrivata tramite l'organizzazione Saint Martin.

di Emanuela Citterio

«Mi chiamo Cher, sono una giovane donna di 24 anni e sono kalenjin». Comincia così la lettera arrivata alla nostra redazione dal Kenya tramite don Gabriele Pipinato, direttore insieme ad altri quattro kenyani dell’organizzazione Saint Martin a Nyahururu, vicino a Nakuru dove si sono concentrate le violenze post-elettorali e gli scontri fra persone di etnia kikuyu, kalenjin e luo (www.saintmartin-kenya.org).

La riportiamo integralmente.

Mi chiamo Cher, sono una giovane donna di 24 anni e sono kalenjin.
Sono cresciuta in mezzo a gente kikuyu e i miei amici d’infanzia sono tutti kikuyu.
Abbiamo giocato e siamo andati a scuola assieme.
Anche adesso la maggioranza dei miei amici sono Kikuyu.
Nonostante questo i miei genitori mi hanno sempre raccomandato
di stare attenta ai kikuyu
perché anche quando sembrano persone per bene, sono i nostri peggiori nemici.
E così, sono cresciuta con la mentalità che questi miei compagni di vita
in realtà sono i miei nemici.
Ricordo la rabbia del mio papà
quando mio fratello iniziò a frequentare una ragazza kikuyu.
Diceva che le donne kikuyu uccidono i loro mariti
e che non avrebbe permesso in nessun modo che entrasse un nemico in casa. Mio fratello fu costretto a lasciare la sua fidanzata.
Ricordo anche il giorno in cui tornai a casa da scuola
assieme a due ragazze kikuyu mie compagne di classe.
La scuola chiudeva un paio di giorni e loro abitavano lontano
e non avevano il tempo per tornare alle loro case.
Furono giorni molto belli.
Quando tornammo a scuola,
le mie amiche mi confidarono i timori che avevano prima di venire a casa mia.
Dissero che i loro genitori le avevano messe in guardia molte volte
di tenersi alla larga dalle case dei kalenjin
perché sono persone pericolose e pronte ad uccidere.
Io non ho avuto il coraggio di dire loro
che i miei genitori dicevano le stesse cose dei kikuyu.
Riconosco nel mio cuore un odio profondo contro i kikuyu
per tutto quello che sta succedendo in Kenya.
Ne chiedo davvero perdono.
In realtà i kikuyu non mi hanno fatto mai nulla di male,
ma sento di aver ereditato questo odio dalla mia famiglia.
Forse è responsabilità delle persone giovani imparare a perdonarci
e ad accoglierci per dimostrare ai nostri genitori
che il loro insegnamento impregnato di odio e avversione era sbagliato.
Sono convinta che non esista una tribù migliore dell?altra
e che siamo tutti uguali….


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