Mondo

Kenya: il turismo in ginocchio

Per questo primo trimestre del 2008 si stima che siano stati persi 174 milioni di euro. Oltre quattromila i licenziamenti soltanto a Malindi. Calo di arrivi dall'Italia dell'80 per cento

di Emanuela Citterio

Una perdita di 174 milioni di euro, con mancati introiti per le casse dello Stato pari a circa 58 milioni di euro, vale a dire il 78,1 per cento in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Sono i dati relativi al turismo emessi dal Kenya Tourist Board (Ktb) dopo la crisi post-elettorale in Kenya.

Il settore che sta piu’ risentendo della crisi e’ il turismo, seconda voce delle entrate dopo la floricoltura, con un’incidenza del 12 per cento sul Prodotto interno lordo. Un giro d’affari che, secondo i dati del Kenya Tourist Board che nel 2007 era pari a 590 milioni di euro e i cui introiti sono crollati di quasi l’80%.

Sul problema è intervenuto oggi anche l’ambasciatore italiano in Kenya, Pierandrea Magistrati. Oltre quattromila sono stati i licenziamenti soltanto a Malindi nel settore del turismo a causa delle violenze in alcune regione del Kenya, seguite alle elezioni di dicembre. “Intere famiglie dipendevano dal lavoro di questo personale licenziato da alberghi e ristoranti, perche’ non arrivano piu’ turisti” ha detto Magistrati all’Agi.

Gli arrivi dall’Italia -al terzo posto nel 2007 con 84mila turisti- hanno fatto registrare nei primi tre mesi di quest’anno un calo dell’80 per cento. “Qualcosa in piu’ rispetto ad altri Paesi di provenienza come Inghilterra (204mila arrivi nel 2007), Stati Uniti (101mila) e Germania (83mila)”, spiega all’Agi Federica Volla, rappresentante per l’Italia del Ktb, “la ragione e’ che il turismo dall’Italia dipende dai collegamenti charter. Tutti i Paesi che hanno voli di linea con il Kenya hanno fatto registrare flessioni minori. Sono stati molti i collegamenti charter per Mombasa cancellati o ridotti. L’Air Italy, l’unica compagnia che garantiva una certa continuita’ con due voli settimanali, da gennaio ha sospeso il servizio.

“Quando sono scoppiati i disordini, nel pieno della stagione turistica, a Malindi c’erano cinquemila italiani, molti dei quali sono subito ripartiti sentendo le notizie che arrivavano da Nairobi e dalla Rift Valley, anche se in realta’ nell’area della costa non e’ successo nulla”, ha raccontato l’ambasciatore, “La responsabilita’ e’ anche di una cattiva informazione che ha descritto un intero Paese sull’orlo della guerra civile. Non e’ stato sufficiente il lavoro che abbiamo fatto con l’Unita’ di crisi della Farnesina per informare i viaggiatori di evitare soltanto alcune zone del Kenya, come la capitale e l’area nordoccidentale”. Ora tutto dipende dal presidente Mwai Kibaki e dal premier Raila Odinga. “Dopo le violenze, le grandi speranze e finalmente la riappacificazione, resta da superare la fase piu’ difficile: la ripartizione del potere. I governanti devono capire che e’ tempo di mettersi a lavorare insieme”, ha sottolineato l’ambasciatore.

Gli investimenti italiani in Kenya sono fortemente diminuiti negli ultimi quindici anni; adesso sono rimasti soltanto operatori turistici e piccoli imprenditori. “Cogliamo comunque segnali di ripresa”, assicura Magistrati, “soprattutto in settori nuovi: la floricoltura, la lavorazione della pelle, l’agroalimentare. E’ tornato in Kenya anche qualche grosso gruppo come Finmeccanica con buoni risultati. Speriamo che questo sia soltanto l’inizio”.


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