Cultura

Kenya. Il piano per demolire gli slum. Baraccopoli, ruspe in retromarcia

A Nairobi milioni di persone vivono in baracche. Il governo aveva deciso la distruzione di centinaia di case. Ma ong e missionari si sono mobilitati.

di Emanuela Citterio

Nairobi, maggio

Fumo, misto a odore acre di spazzatura. Dandora ti prende prima di tutto alla gola. Poi la vedi. Una montagna di rifiuti che toglie ogni altra vista, la discarica di una città passata da 250mila a 4 milioni di abitanti nel giro di 4 decenni. Nairobi oggi conta 168 baraccopoli. E rischia di essere il paradigma delle città africane del futuro. Se l?emorragia dalle campagne verso le aree urbane continuerà con questi ritmi, avverte l?Onu, metà della popolazione dell?Africa si concentrerà nelle città entro il 2020. A Nairobi le ?demolitions? delle baraccopoli sono iniziate a febbraio. Senza preavviso, i bulldozer sono entrati nel complesso di Raila radendo al suolo 400 strutture, tra cui scuole, dispensari e chiese. Dieci giorni prima i giornali avevano riportato le dichiarazioni dell?ente ferroviario, la Kenya Railways corporation, che annunciava per il 3 marzo la demolizione delle strutture abusive lungo la linea ferroviaria di Kibera, la più grande baraccopoli di Nairobi (700mila abitanti). La ?X? della distruzione Kibera si trova in una zona centrale, e la ferrovia, inutilizzata, taglia di netto lo slum. Lungo i binari le case da demolire si vedono subito: sono contrassegnate da grandi ?X? di vernice rossa. “Stiamo vivendo tempi duri”, commenta Mary, una volontaria americana. “La gente di Kibera ha lasciato tutto al villaggio per venire qui. Cosa faranno se la baracca in cui stanno ora verrà rasa al suolo?”. Secondo un?indagine della Commissione per i diritti umani del Kenya, solo a Kibera le demolizioni vicino alla ferrovia riguardano 108mila persone. A Nairobi il piano per le demolizioni è coordinato dai ministeri dei Lavori pubblici e dell?Energia. Oltre alle baracche a ridosso delle linee ferroviarie, il governo ha iniziato l?abbattimento di quelle costruite sotto i tralicci della corrente. A Langata Road, a sud della città, rivediamo i contrassegni di vernice rossa. I proprietari dei negozi sulla strada hanno svuotato tutto. Una casa è già demolita per metà. Senza pianificazione Da fonti diplomatiche apprendiamo che l?azione del governo kenyota si appoggia su un documento delle Nazioni Unite che si pone l?obiettivo di innalzare il livello di vita degli slum. Il programma punterebbe ad avere città africane senza slum e l?Onu vorrebbe partire da Nairobi. “L?idea è buona ma la realizzazione è sbagliata”, commenta la nostra fonte. “La scelta di iniziare da Kibera è stata fatta dal precedente governo del presidente Moi. Sarebbe stato meglio scegliere uno slum più piccolo. Kibera, invece, è una realtà enorme e difficile”. La soluzione ipotizzata per Kibera è il trasferimento di parte della popolazione altrove, a 40 chilometri di distanza. Ma dalla baraccopoli la gente parte per andare a lavorare nella vicina area industriale. E 40 chilometri sono troppi per andare al lavoro a piedi, e i mezzi di trasporto pubblici costano sempre di più: un aumento del 30% negli ultimi due anni. “Manca una vera pianificazione urbana”, afferma padre Daniele Moschetti, comboniano, che ha preso il posto di Alex Zanotelli nella baraccopoli di Korogocho. Le demolizioni qui lasceranno senza abitazione 2.500 persone. La parrocchia di Saint John, cui fa riferimento Moschetti, fa parte del network Kutoka, che riunisce 14 parrocchie di Nairobi impegnate nelle bidonville. “Ci battiamo perché venga data un?alternativa a questa gente”, spiega. “A Nairobi due milioni e mezzo di persone vivono sull?1,5% della terra. C?è un?ingiustizia di fondo, che non si può risolvere con i bulldozer e gli ultimatum”. Se in altre baraccopoli di Nairobi è più facile sperare, Koroghocho la miseria ce l?ha nei geni. All?inizio arrivavano qui pochi disperati senza alternative. Oggi in un?area di un chilometro e mezzo vivono 150 mila persone. Le donne di Korogocho hanno scritto una lettera alla moglie del presidente Kibaki, facendo presente che le demolizioni riguardano anche le scuole informali, che nello slum sono spesso l?unica opportunità di istruzione. Le ong, i missionari e le associazioni si sono riuniti in una campagna che è riuscita a far sospendere, per il momento, le demolizioni. Hanno chiesto al governo, eletto democraticamente due anni fa, di lavorare insieme per sviluppare piani alternativi di insediamento delle famiglie. La commissione Onu per i diritti umani nel frattempo ha condannato gli sfratti forzati chiedendo al governo di garantire prima altre sistemazioni. Intoppi all?italiana Già, le alternative. Per arrivare a Korogocho si passa da Thika Road, dove caseggiati tirati su una decina di anni fa potrebbero far posto a qualche migliaio di persone. Era un progetto della cooperazione italiana, ma qualcosa si è inceppato con il governo kenyota. “Qui è mancata l?attenzione per le aree rurali”, dice Gino Filippini, occhi chiari che hanno visto trent?anni di Africa. “La manutenzione delle infrastrutture è avvenuta solo nelle città. Nel resto del Paese strade e ferrovie, le stesse del periodo coloniale, sono all?abbandono. Con il risultato che il commercio è diventato impossibile a causa dei costi per il trasporto della merce”.

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