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Kenya: ecco chi veste il papa

Sono state le donne della baraccopoli di Kangemi a preparare i paramenti del Papa. Sotto la guida di una suora speciale

di Emanuela Citterio

«C'è tanto entusiasmo, soprattutto da noi a Kangemi. Viene nel nostro slum e non è una cosa indifferente. Qui, non so se è al corrente, abbiamo preparato i paramenti per il Santo Padre». A parlare all’altro capo del telefono è suor Ida Lagonegro, 73 anni, in Kenya da 48. In queste ultime settimane i giornali locali la assediano: con le donne del suo laboratorio, le più povere del quartiere, ha preparato gli abiti che papa Francesco indosserà durante le celebrazioni in Kenya, prima tappa del suo viaggio in Africa. E non solo quelli. «Per il Santo Padre abbiamo confezionato tre abiti: uno bianco e semplice con l’emblema dei Gesuiti, uno dorato classico più prezioso per la Messa ufficiale a Nairobi, il terzo con un tocco africano che imita le decorazioni delle donne Masai». Suor Ida va avanti con un elenco impressionante: «Abbiamo preparato anche 2 mila stole per i preti kenyani, con il logo della visita del Papa e la croce sul retro, 604 camici con il logo davanti, dietro e sulle maniche e la scritta “Siate saldi nella fede, non abbiate paura”. Poi ci sono 15 cotte e le quattro vesti per i diaconi. E poi 60… non ricordo come si dice in italiano, aspetti, lo chiedo alla mia consorella kenyana che lo sa meglio di me. Ah ecco… casule, 60 casule per i vescovi. Guardi, ho i ferri da stiro che vanno in continuazione, dodici ore al giorno. Lei sul telefono ce l’ha WhatsApp? Così le posso inviare qualche foto».

«È una manager», mi aveva avvisato Fabio, l’amico dal quale ho avuto il suo numero di telefono. Fabio, che ha trascorso un periodo di volontariato in Kenya, mi aveva anche spiegato che il laboratorio di sartoria di Kangemi impiega ex prostitute e ragazze di strada della baraccopoli. Lei però non entra nei particolari, dice solo che a far parte della sartoria sono «le donne più povere del quartiere». E riprende con piglio da imprenditrice: «Nel nostro progetto lavorano di solito 18 donne. Principalmente realizziamo paramenti liturgici e arredi per le chiese. Poi abbiamo un altro gruppo che confeziona bambole e rosari. Quando sono arrivati dalla Conferenza episcopale a chiederci di preparare i vestiti per la visita del Papa c’erano in lizza altre tre congregazioni di religiose. Di fronte alla mole di lavoro le altre però hanno preso paura e si sono ritirate».

Suor Ida ha cominciato il lavoro a fine settembre: «Ho buttato dentro nel progetto tutte le donne che avevo, le 18 della sartoria più quelle delle bambole e dei rosari e anche un paio di uomini». Le chiedo di dirmi di più delle donne. «Tutte vengono dalle zone rurali, arrivano qui in città e si ritrovano a vivere nella baraccopoli. Ad avviare la sartoria sono state le Suore Bianche, nell’89. Sette anni dopo sono dovute andar via, ma prima sono venute nel nostro convento a chiederci se potevamo continuare noi». Suor Ida Lagonegro è originaria della parrocchia di Voltabrusegana in San Martino, a Padova, e appartiene alla congregazione delle Suore Dimesse Figlie di Maria Immacolata. «Qui a Kangemi siamo quattro suore e lavoriamo tanto nel quartiere, io da qualche tempo un po’ meno perché mi fanno male le gambe. Adesso sono qui in sartoria». In Kenya suor Ida è stata missionaria ovunque: nelle parrocchie, in una casa per bambini ammalati di Aids, in una scuola superiore. A Nyhaururu, città che si trova proprio sulla linea dell’equatore, ha creato da zero un centro di spiritualità, il Tabor Hill: «Quando ci hanno dato il terreno non c’era neanche l’erba», ricorda. Oggi ad accogliere i visitatori c’è un giardino curatissimo e casette per chi partecipa a incontri di preghiera e formazione. In quasi mezzo secolo suor Ida ha visto cambiare il volto del Kenya. «La crescita economica è stata impressionante. Quando sono arrivata, nel ’67, a Nairobi c’erano solo due vie asfaltate. Oggi le strade sono accessibili, c’è luce e acqua quasi dappertutto».

«I cinesi? Hanno fatto un grandissimo lavoro, soprattutto per quanto riguarda le strade», dice rispondendo a una domanda sulla loro presenza in Kenya. «Certo, di povertà ce n’è tanta», continua la missionaria. «Domenica sono andata a casa di una giovane donna: ha avuto una bimba dopo due maschi e le ha messo il mio nome di battesimo, Luciana. La casa era in ordine e pulita, ma di una povertà… due stanze e il bagno fuori, in comune con altre famiglie. A Kangemi poche persone ricche hanno ereditato la terra e costruiscono appartamenti che affittano a prezzi spropositati: 8 mila scellini al mese sono circa 80 euro, ma qui è uno stipendio mensile. Uno non potrà mai rifarsi con questa spesa».

Chissà se queste cose suor Ida le dirà al Papa. Per ora gli ha scritto una breve lettera. «Ma ero così emozionata che la scrittura mi è venuta tutta storta, l’ho ringraziato per il bene che fa al mondo intero. La nostra gente dice che Francesco è il Papa che ci vuole bene, che pensa a noi. Hanno un desiderio immenso di toccare almeno un lembo del suo vestito. Purtroppo molti dovranno vederlo sui maxischermi». I vestiti di Francesco, per ora, sono al sicuro in casa di suor Ida: «Non ho voluto lasciarli in laboratorio perché devono essere sotto la mia supervisione. È un bel mese che li ho in casa pronti. Sono stati i primi che abbiamo preparato. Glieli regaleremo noi». Sui preparativi non è d’accordo con chi è venuto dal Vaticano: «Qui a Kangemi non vogliono che si prepari niente, desiderano che il quartiere resti così, come si vive normalmente. A me questo un po’ disturba perché, quando c’è una festa grande, prepariamo la chiesa che è un sogno. Non so se me la lasceranno preparare, comunque io ho un inginocchiatoio con due cuscini già pronti». Chi la conosce dice che di fronte a suor Ida non c’è Vaticano che tenga.

Da Famigliacristiana.it

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